Fine dell'orizzontalità (?) #2 - Blog like an archeologist

Archetipi di scrittura, modelli di business e tecnologie per il publishing. Come inseguo un posizionamento fuori tendenza per la mia scrittura.

Fine dell'orizzontalità (?) #2 - Blog like an archeologist
Chengan Xia

A un certo punto dello scorso anno mi sono guardato intorno e ho avuto l'impressione di non riconoscere più il panorama digitale nel quale ero immerso.

I feed dei miei social, che per lungo tempo avevano avuto un aspetto famigliare e rassicurante, apparivano sempre più confusi ed estranei, anche meno interessanti.

Alcuni dei magazine e delle riviste che seguivo o con cui collaboravo avevano chiuso, altri sparivano nelle pieghe dell'algoritmo e facevo sempre più difficoltà a orientarmi e a collocare i nuovi marchi che mi spuntavano intorno.

La fine dell'orizzontalità (?) è stato un primo, sbilenco tentativo di fissare le sensazioni e i pensieri che provavo di fronte a questa situazione. Dico sbilenco perché c'erano delle opacità nel modo in cui era scritto, nel tono, fin troppo assertivo, con cui provavo a delimitare la mia esperienza. Eppure...

Eppure quelle riflessioni trovavano risonanza nell'esperienza di altri. La piccola discussione suscitata dal post soprattutto su Facebook e la sua circolazione erano lì a testimoniare che in quel testo c'era qualcosa di irrisolto, qualcosa non non riguardava solo me stesso.

In quel testo provavo a tracciare i contorni di quella che a me sembra una nuova wave della scrittura digitale connessa, come l'ho chiamata altrove. Mi sembra che a farla montare, quest'onda, sia stata la maturità raggiunta dalla creator economy.

Se a metà degli anni '10 il modello economico più adeguato alla produzione di contenuto digitale scritto provava e mettere i brand nella posizione di finanziatori e mecenati, all'alba degli anni '20 ad avere conquistato la ribalta è stata, invece, la membership.

Descritta rapidamente e per sommi capi, la membership è un modello economico che si basa sulla relazione tra il creatore di contenuti e il suo pubblico in cui, grazie al ruolo di mediazione svolto dalle piattaforme digitali, il secondo sostiene economicamente il lavoro del primo attraverso abbonamenti che danno diritto a una serie di vantaggi.

Substack, la celebre piattaforma di newsletter, è stato probabilmente il marchio che più ha beneficiato dell'affermarsi di questo modello in termini di riconoscibilità e penetrazione del mercato nel settore della scrittura.

Anche in questo caso sorvolerò la questione, ma uno dei requisiti che permette ai modelli economici basati sulla membership di ottenere i migliori risultati è la verticalità. Presidiare e dominare la propria nicchia è fondamentale, al pari della costanza e della regolarità nella pubblicazione, per poter mantenere la promessa su cui si basa la relazione con il pubblico.

Mi sono chiesto spesso se non sarebbe stato il caso di provare a cavalcare quell'onda, orientando il mio modo di scrivere in base a un principio di verticalità e costanza. Per quanto abbia provato a pensarci, all'interno del perimetro che tali principi delimitano, non sono mai riuscito a trovare una mia cifra.

Me ne sono domandato più volte il motivo e la domanda mi ha spinto a chiedermi anche (e a ragionare) sul tipo di scrittura che non solo mi è più congeniale ma che preferisco praticare quando sono libero da un legame di committenza.

Architetti e archeologi

Alcune risposte a queste domande le avevo già trovate nel lavoro e nelle riflessioni di persone come Tom Critchlow, Craig Mod, David Perell, Toby Shorin. Professionisti che lavorano all'intersezione tra consulenza, formazione, design, marketing, coding, branding, strategia e altre discipline, accomunati da un'etica e una pratica che mette la scrittura al centro della costruzione delle loro identità professionali e digitali.

È da blogger come loro, da Critchlow in particolare che ho mutuato l'idea di scrivere in rete per stringere relazioni, mettendo l'ottimizzazione delle prestazioni in secondo piano (è per questo che, da anni, ho smesso di tracciare le visite a questo blog per concentrarmi a coltivare i rapporti con chi lo legge e decide di interagire coi suoi contenuti).

Da Perell, invece, ho recuperato l'idea della scrittura digitale connessa come strumento per la costruzione di un "monopolio personale".

The ultimate goal of writing online is to build a Personal Monopoly. It’s your unique intersection of skills, interests, and personality traits where you can be known as the best thinker on a topic and open yourself up to the serendipity that makes writing online so special.

Source: Build a Personal Monopoly - David Perell by @david_perell

C'è un certo elemento di verticalità in questa definizione, là dove Perell sottolinea che lo scopo ultimo di questo sforzo è l'essere riconosciuti come le migliori menti su un certo argomento. Ma addentrandomi nella sua riflessione sulla scrittura mi sono imbattuto in due testi, pubblicati in altrettante newsletter che purtroppo non sono riuscito a recuperare, in cui questo passaggio viene approfondito.

I testi si intitolano Write like an architect e Write like an archeologist. Qui Perell tratteggia due archetipi di scrittore opposti proprio in base all'orientamento del loro approccio alla scrittura.

Scrivere come un architetto significa infatti scrivere partendo da un progetto, con un disegno a fare da guida e un obiettivo finale ben definito. Una scrittura verticale appunto, che progetta ed esegue il carotaggio di un argomento.

Scrivere come un archeologo significa invece scrivere partendo da una superficie piatta, piana e, scivolando sopra e dentro di essa per andare alla ricerca di cosa questa superficie nasconde. Una scrittura orizzontale, rizomatica, che si disperde in mille rivoli e nutre così il sottobosco.

È un approccio che sento risuonare in modo molto armonico con la mia indole e l'attitudine priva di metodo con cui mi sono avvicinato alla scrittura digitale connessa. Un approccio che mira a massimizzare le relazioni e i rapporti, senza per questo voler fondare comunità con tutto il carico di responsabilità (e fatica) che questa promessa comporta.

Come ho intenzione di dar seguito a questo approccio nella mia scrittura e qual è il peso della tecnologia che ho scelto per farlo lo racconterò nel paragrafo successivo.

La tecnologia è il contenuto

Il mio sito personale esiste dal 2014. L'ho creato e pubblicato in occasione dell'uscita di Stupidi giocattoli di legno, il saggio sullo skateboarding che ho scritto per Agenzia X.

Grazie a un corwdfunding di grande successo, da pochi mesi John O'Nolan aveva creato Ghost, il software su cui gira il sito, e dato vita alla fondazione che ne gestisce lo sviluppo. Del progetto avevo letto in rete e, da subito, mi aveva colpito per l'interfaccia di scrittura pulitissima, una delle prime basate su markdown che avessi mai visto, e per la visione etica che lo animava.

O'Nolan, uno che il mondo della tecnologia lo conosce bene, non voleva che la sua creazione seguisse la traiettoria che caratterizza molte start up del settore per cui a una crescita vertiginosa dovuta alle iniezioni di venture capital facesse seguito la necessità di capitalizzare per ripagare l'investimento, a scapito dell'utente e della sua esperienza.

Un processo che lo scrittore Cory Doctorow ha descritto usando un neologismo, enshittification (tradotto alla grazza: smerdamento), ed è alla base della morte di molte delle piattaforme commerciali.

Per Ghost, O'Nolan aveva in mente un processo di crescita equilibrato, con un orizzonte a lungo termine e l'esperienza utente costantemente al centro della crescita, e un modello di business diverso da quello usato dalle piattaforme, che capitalizza sulla mediazione tra la domanda e l'offerta.

Ghost si sostiene vendendo ai suoi utenti spazio web sui propri server e rende, allo stesso tempo, la propria tecnologia disponibile gratuitamente per essere installata su qualsiasi altro provider di hosting.

Rispetto ai proprio competitor diretti lo sviluppo e l'implementazione di nuove funzionalità è meno impetuoso, Ghost è sempre in qualche modo in ritardo in termini di features, un difetto che compensa con la più completa libertà per l'utente e una relazione meno estrattiva quando questo decide di monetizzare il proprio lavoro.

Perché sì, anche Ghost, come Substack o Medium, è posizionato come una tecnologica che serve la creator economy e il publishing indipendente.

Non cito Medium a caso. Nei primi anni in cui avevo aperto il sito sono stato a lungo indeciso se mantenere lo stack basato su Ghost o trasferire tutta la mia identità su Medium che, all'epoca, stava affrontando la sua fase di crescita vertiginosa ed era considerato, al pari di Substack oggi, il place-to-be per chi scriveva in rete.

A frenarmi è stato il fatto che, per lungo periodo, Medium non ha offerto la possibilità di ospitare le pubblicazioni su un dominio di proprietà dell'utente e io tenevo al fatto di possederne uno con il mio nome. Anche se a livello di funzionalità Ghost sembrava non essere in grado di tenere il passo, sul lungo periodo la scelta ha pagato.

Medium alla fine si è smerdato. Pur esistendo ancora è molto meno rilevante e vibrante di quanto non fosse un tempo, mentre Ghost non ha solo recuperato ma, col tempo, si è evoluto offrendo nuove funzionalità e possibilità senza allontanarsi dalla sua natura e dai principi che lo hanno reso una soluzione perfetta per me, primo fra tutti l'approccio no code che rende la gestione quotidiana e la personalizzazione semplici ed efficaci.

Non solo, le caratteristiche di Ghost mi hanno dato la possibilità di assecondare la mia attitudine archeologica alla scrittura. La tecnologia è stata (anche) il contenuto. Ma di preciso, in che modo lo è stata?

Blogging archeologico

Uso l'espressione "blogging archeologico" per definire il modo in cui la mia attitudine alla scrittura e la tecnologia che la abilita funzionano insieme.

Ghost mi consente di avere sia una serie di pagine statiche in cui presentare chi sono, cosa, come e perché faccio quello che faccio (pagine che nel corso del 2024 andrò a migliorare in termini di aspetto e organizzazione) e, allo stesso tempo, di pubblicare contenuti.

Posso presentare questi contenuti nel modo che preferisco, così come distribuirli, dal momento che Ghost ha una funzione nativa per raccogliere indirizzi e-mail e inviare newsletter (proprio come Substack, ma con la possibilità di curare in modo più attento la propria identità).

Posso anche scegliere se monetizzarli, introducendo un paywall o creando dei piani di abbonamento. Al momento mi limito a chiedere un contributo a chi volesse sostenere il mio lavoro di scrittore e non intendo limitare la fruizione dei contenuti.

Ma potrei volerlo fare, magari esplorando formati pop-up, serie a tiratura limitata su specifici argomenti che potrebbero appoggiarsi al Ghost senza obbligarmi ad aprire account su altri servizi.

A prescindere da questi progetti, continuerò a scrivere riflessioni, racconti e recensioni sul blog, concentrandomi sull'autonarrazione del mio percorso professionale e usando questo spazio per sperimentare formati eccentrici rispetto all'offerta editoriale più established per la quale utilizzo uno stile più giornalistico.

Un'attività che il blog continuerà a supportare funzionando come archivio, ma che intendo migliorare facendo di ogni segnalazione anche una sorta di espansione del lavoro segnalato che registrerà e riporterà ragionamenti e informazioni che magari sono caduti al di fuori del perimetro dell'articolo pubblicato.

Cercherò anche di dare a Spore, la mia newsletter-non-newsletter (ti arriva in inbox come una newsletter ma la leggi anche sul sito e la lancio su social proprio come una newsletter di Substack che, ehi, aspetta, ma che differenza c'è? (fantozzi_folagra_preso_per_il_culo.gif), una cadenza più regolare, mensile, mantenendone lo stile e la missione: raccontare cose belle che mi succedono in un modo un po' criptico e immaginifico. Ah, ho aggiunto anche una sezione curata di link. Proprio come nelle newsletter che ricevi nella inbox, ma questa la leggi anche sul sito (fantozzi_folagra_preso_per_il_culo.gif).

È un po' confuso, come piano, ma questo è, all'incirca il mio piano. Dopotutto sono un archeologo che va alla ricerca di tracce del passato per farsi un'idea più chiara del presente.

Se ti va di parlarne puoi usare il modulo dei commenti qui sotto, come si faceva una volta. Oppure puoi commentare il post sui social. Va bene lo stesso, ma chiediti se ha senso regalare quella conversazione a Elon Musk o chi per lui. Se la regali a me non ci guadagno nulla, se non il piacere di parlare con te.

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