La fine dell'orizzontalità (?)

La creator economy ha verticalizzato la scrittura digitale? Lamentazione di un fallito sulla scomparsa dell'ethos del blogging.

Illustrazione di un drago in stile cibernetico, opera dell'artista Chengan Xia.
Chengan Xia

Qualche giorno fa, su Facebook, lo scrittore Claudio Kulesko scriveva: "Raga, prima era pieno zeppo di riviste online, ce n'era a pacchi, la situazione era tipo insostenibile. Ora non c'è più neppure una rivista online su cui fare recensioni non a gratis.

Claudio non ha torto, l'arcipelago di riviste nato intorno a Prismo si è come inabissato e la scena di giornalismo culturale che era fiorita grazie a quella e ad altre esperienze sembra essersi esaurita.

Guardandola oggi, col senno di poi, quella scena appare come un'anomalia che emergeva da un contesto particolare come quello italiano.

Produrre contenuti grazie al mecenatismo dei brand, il modello elaborato da Prismo e messo in atto dai vari The Towner, Pixartthinking, Il Tascabile (una delle poche isole sopravvissute all'inabissamento), si è dimostrato un business model fragile e aleatorio. Per qualche anno sono stato convinto potesse essere un modello scalabile; mi sbagliavo (ciao Marco, avevi ragione tu).

Il semplice avvicendamento di un direttore marketing in azienda era sufficiente per terminare un progetto, lasciando senza riferimenti il network di scrittori che intorno a esso era stato raccolto grazie al lavoro degli editor.

Così, mano a mano che le isole iniziavano a scomparire, gli scrittori che erano abituati a navigare dall'una all'altra per poter piazzare il proprio prodotto hanno cominciato a perdere i loro punti di riferimento, disorientati dal mutamento del paesaggio.

Nel corso di questi anni, infatti, il modello economico alla base della produzione di contenuti è cambiato e, con sempre maggior decisione, si è orientato verso un modello basato sul concetto di abbonamento.

Un modello abbastanza flessibile da costituire una risposta sia per le testate, che potevano integrare l'attività di fidelizzazione dei propri lettori e la costruzione di community legate al proprio marchio col tradizionale modello pubblicitario, che per i creatori di contenuti individuali, che potevano usarlo per perseguire il sogno di un'indipendenza professionale.

Un sogno che poggia sulla disintermediazione della tradizionale filiera di produzione e distribuzione del contenuto in direzione di una forma di lavoro culturale sempre più autonomo che avrebbe senso chiamare selfpublishing, se questa parola non fosse un dogwhistle per stronzi dalle passioni tristi.

Piattaforme come Medium e Substack, per limitarci a quelle più orientate alla parola scritta come medium, sono state fondamentali nell'indirizzare i creatori di contenuti individuali verso il modello economico basato sull'abbonamento.

A prima vista, si potrebbe scambiare questo movimento per un ritorno al passato, all'epoca dei blog, con in più un solido meccanismo per monetizzare quello che un tempo era soltanto lavoro gratuito.

Non è così.

Alla base del blog come tool e artefatto culturale c'è infatti il concetto di log, di registro. Il web-log non è altro che un diario digitale e connesso e, in quanto tale, incorpora una forma di orizzontalità totale.

Dalla riflessione personale alla nota, dal saggio al racconto, dallo sfogo all'autofiction, il blog è aperto a qualsiasi tipo di contenuto proprio perché il suo sviluppo appare, almeno all'inizio, slegato dalla necessità di monetizzare e più orientato a soddisfare quel bisogno espressivo spesso informe che, oggi, è stato ampiamente catturato dalle piattaforme social.

Al contrario, le attuali piattaforme di scrittura basate sul modello economico dell'abbonamento spingono il creator ad adottare un approccio verticale.
Per avere successo attraverso la produzione di contenuti è necessario ritagliarsi un posizionamento ben preciso per il proprio personal brand. Per farlo serve individuare una verticale tematica inedita o elaborare un punto di vista peculiare attraverso cui servire la propria nicchia di pubblico.

Solo in questo modo è possibile ottimizzare le propria produzione di contenuti per generare la massa critica di utenti necessaria a rendere sostenibile la propria attività di creator.

Platformer di Casey Newton, uno dei creator di maggior successo su Substack, è una pubblicazione che si occupa solo ed esclusivamente di piattaforme digitali. Futura Doctrina di Mick Ryan (a proposito ho un pass per accedere all'archivio gratis per un mese, se ti interessa scrivimi), invece, tratta l'invasione dell'Ucraina, quella di Gaza, la sicurezza di Taiwan e gli sviluppi futuri della guerra.

Un approccio distante da quello che Mark Fisher adottava quando scriveva il suo k-punk, un prodotto meno sistematico e frammentato dei due esempi citati.

Lo si può capire leggendone l'antologia pubblicata qualche anno fa da Repeater Books e tradotta in italiano da Minimum Fax che ha deciso di organizzarla in tre diversi volumi, ognuno di essi organizzato per verticali tematiche, a testimonianza di quanto fosse esploso il modo in cui Fisher si dedicava alla scrittura del suo blog.

Progetti come Prismo e, prima di lui, la scena dei blog collettivi italiani - Nazione Indiana, 404 File not Found, Lavoro Culturale solo per fare qualche esempio - avevano capitalizzato proprio quest'approccio orizzontale e fortemente orientato al bisogno espressivo.

Era proprio questa la radice della loro anomalia, della loro eccentricità rispetto al resto del panorama editoriale digitale, nazionale e non solo.

Oggi, purtroppo, gli spazi per quel genere di produzione sembrano essersi estremamente ridotti.

Da una parte, infatti, il bisogno espressivo è stato catturato in vari modi dalla piattaforme social che, insistentemente, spingono i loro utenti a condividere cosa stanno pensando o cosa c'è di nuovo.

Dall'altra parte, sempre più interessate a trattenere gli utenti al loro interno, le stesse piattaforme social hanno limitato il lato sociale della distribuzione dei contenuti, rendendo lo scrivere "non per i numeri ma per le relazioni" sempre più complesso.

Si è rotto infatti quel meccanismo che, fino a pochi anni fa, permetteva a perfetti sconosciuti di distribuire i propri contenuti sviluppando relazioni significative a livello professionale e umano.

Un guasto evidente su X, il fu Twitter, dove ormai, a meno di non pagare il pizzo richiesto per ottenere la spunta blu, la reach è a tal punto disallineata dal numero dei follower da rendere il network inutilizzabile come canale di distribuzione.

L'ethos del blogging si è estinto dunque?

Non so se sia corretto essere così categorici ma, di certo, provare a essergli fedeli è sempre più complicato in un panorama dominato da piattaforme che formattano la produzione in modo sempre più ottimizzato per un modello economico basato sull'abbonamento.

Personalmente ho scelto, un po' per incapacità e un po' per sensibilità, di non incamminarmi lungo quel tipo di percorso, continuando a ritagliarmi su questo sito uno spazio orizzontale e frammentato, in attesa di capire se e come elaborare una cifra personale con cui abitare questa fase dello sviluppo della rete.