Il branding come costruzione di mondi

Possiamo pensare alla creazione di un marchio come all'atto di costruzione di un mondo narrativo? Alcune note sulla relazione tra branding, worldbuilding e storytelling.

Immagine di un planisfero.
Tiago Torres Campos - Into the Darkness. Critical Relationalities through the Black Marble

Il titolo di un [report pubblicato da VML definisce quella in cui viviamo oggi come The Age of Re-enchantment, l’età del re-incantamento.

Con questa espressione viene definito un periodo storico in cui le persone esprimono in modo sempre più evidente il bisogno di recuperare una dimensione di gioia, scoperta e meraviglia di fronte a un mondo la cui trasparenza non funziona più come antidoto al caos e alla frammentazione.

A questo bisogno rispondono tre tendenze:

  • risveglio (Awakening): la necessità di andare oltre ciò che ci circonda;
  • trascendenza (Transcending): la necessità di sentirsi parte di qualcosa di più grande di se stessi;
  • reinvenzione (Reimagining): la necessità di credere a un impulso ottimistico in grado di ridisegnare la realtà.

Tendenze che, da una parte, risuonano a vari gradi con la sensibilità di quei segmenti di pubblico più aperti ai processi di re-incatamento e, dall’altra parte, guidano le strategie e la comunicazione di molti brand. Di più, tali tendenze permettono di guardare al processo di costruzione dell’identità di marca (branding) attraverso una lente che ne arricchisce la complessità, quella della costruzione di mondi (worldbuilding).

Che cos’è il worldbuiliding?

Definisco worldbuilding l’attività con cui si dà origine a un universo di finzione all’interno del quale possono essere ambientate e raccontate infinite storie. La terra di mezzo di Tolkien, i multiversi Marvel, la galassia di Star Wars sono tutti mondi che hanno preso vita attraverso le tecniche del worldbuilding, che sono tante e diverse.

Se ti interessa approfondirle, io qui non lo farò, Claudio Kulesko ha una newsletter a tema che fa proprio per te.

Mi limiterò a dire che, nel processo di worldbuilding, la costruzione di una cronologia ha un peso specifico notevole.

Ciò che rende così credibile il mondo in cui è ambientato il Signore degli Anelli è la consapevolezza che prima e dopo le vicende narrate dal romanzo qualcosa è successo e qualcos’altro potrà succedere. La saga di Star Wars, per fare un’altro esempio, racconta vicende accadute “tanto tempo fa, in una galassia lontana lontana” e inizia precipitando lo spettatore in medias res. Pur non sapendo nulla di quel mondo, questi semplici accorgimenti ce lo fanno percepire come costantemente presente.

Il potere della cronologia è proprio quello di rendere presente qualcosa senza doverlo per forza approfondire. Una consapevolezza che ho maturato giocando e usando Microscope come strumento didattico per insegnare a costruire mondi narrativi e di finzione.

Microscope è un gioco di ruolo narrativo i cui partecipanti narrano insieme un evento concordato attraverso la costruzione collettiva di una linea del tempo ed è attraverso questa costruzione che emerge il profilo di un mondo di finzione.

Un processo in cui gioca un ruolo chiave il modo in cui le regole del gioco sfruttano i concetti di diacronicità e sincronicità. In Microscope, infatti, la linea del tempo non nasce soltanto posizionando orizzontalmente (asse diacronico) una serie di eventi ma anche approfondendoli in modo verticale (asse sincronico).

Possiamo raccontare la battaglia di Waterloo come un momento che segue il ritorno di Napoleone dall’isola d’Elba e precede il suo esilio a Sant’Elena. Oppure possiamo raccontare come si è svolta la battaglia come se fosse un podcast di Alessandro Barbero o, ancora, possiamo raccontarla dal punto di vista di un artigliere a cui non arriva mai l’ordine di sparare perché...non è importante.

Quello che è importante è che a ognuno di questi passaggi corrisponde un diverso grado di profondità e di immersività del racconto ma tutti sono parte del più ampio disegno del mondo narrativo che li contiene.

Creare un mondo narrativo è, dunque, un gesto che permette di andare oltre ciò che ci circonda, trascendere la nostra individualità in una dimensione collettiva più grande di noi e, infine, reinventare la realtà in base alle nostre visioni e ai nostri desideri.

Risveglio. Trascendenza. Reinvenzione. Nell’azione di worldbuilding risuonano tutte e tre le tendenze che governano l’età del reincantamento. Di questo i brand dovrebbero tenere conto.

Branding come worldbuilding

È possibile pensare al processo di branding come all’atto con cui si costruisce un mondo di finzione? Prima di rispondere a questa domanda (spoiler: per me la risposta è sì) è necessario capire cosa intendo quando parlo di branding e no, con questa parola non intendo la progettazione di un logo e di un’identità visiva.

Il processo di branding ha inizio a monte di ogni attività di comunicazione, è un processo strategico, quello con cui si delinea l’identità di marca e tutti gli elementi che la compongono e che, a cascata, andranno a definire il modo in cui la si declinerà in tutti i touchpoint con cui un marchio comunica.

Pensare al branding come un’atto di worldbuilding significa definire una cronologia del marchio funzionale a costruirgli intorno un universo di senso che esso rappresenta ed esprime ogni volta che comunica.

Sull’asse diacronico, la missione diventa così la dichiarazione che fissa lo stato presente del marchio, traendo origine dalle esperienze che ne costituiscono il passato, mentre la visione esprime invece un orizzonte che, posto nel futuro, influenza lo sviluppo del marchio nel compimento della sua missione.

Gli ulteriori elementi che vengono definiti nel corso del processo di branding - i valori, gli archetipi di personalità, il tono di voce e i suoi principi - si collocano invece sull’asse sincronico, arricchendo di sfumature il mondo semiotico che ha origine dal marchio. Tuttavia la costruzione di un mondo non esaurisce il processo di branding, ne è solo il primo, fondamentale momento.

Dal worldbuilding allo storytelling

Per quanto ampio, affascinante e dettagliato, un mondo privo di storie è un mondo inabitato, inerte, morto. Sono le narrazioni che rendono un mondo o un universo narrativo vibrante. Dando per acquisita l’equivalenza tra branding e worldbuilding che ho proposto è inabitato, inerte e morto anche un marchio che non è in grado di produrre storie a partire dal proprio universo di senso.

Le tecniche della narrazione, quelle a cui ci si riferisce con il termine storytelling, servono proprio a questo scopo: attivare il processo di branding e usarlo come motore per la creazione di storie in grado di attivare il mondo semiotico costruito a partire e intorno al marchio. In relazione a questo processo, tali tecniche sono, in un certo senso, complementari e necessarie alle stesso tempo.

Complementari perché, attraverso la produzione di content, esse prolungano la portata dell’identità di marca oltre i confini della comunicazione istituzionale. Necessarie perché, oggi, la comunicazione è un processo a ciclo continuo in cui il marchio racconta se stesso ed evolve nel tempo lungo archi narrativi che tendono alla realizzazione della visione, intesa come orizzonte o destino futuro a cui il marchio tende.

Concepito come worldbuilding, il processo di branding smette di essere un’operazione puramente strategica e incorpora in sé una dimensione tattica. In questo (nuovo?) dominio la strategia non è più qualcosa che si possiede, bensì qualcosa da mettere in pratica: conoscenza e attività allo stesso tempo.

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