Sciare senza neve

Ti sei mai chiesto perché le persone si ostinano a sciare anche se la neve non c'è più. Ho provato a spiegarlo. Spoiler: c'entrano il modernismo e le avanguardie storiche.

Sciare senza neve
Filippo Minelli - Shape D_Z

La scomparsa della neve è un fenomeno fotogenico. Fotogenico e virale. Da qualche anno a questa parte, a un certo punto dell'inverno, sui social è matematico che prenderanno a circolare le immagini di una pista da sci innevata artificialmente, che rifulge incongrua tra il verde e il marrone di un bosco. O quelle di una lingua di neve marcia su cui si affollano sciatori tristi e inarrestabili, alla ricerca di un brivido che sembra non poter più arrivare. O, ancora, come in occasione delle Olimpiadi di Pechino, quelle di una pista da sci che svetta aliena in un paesaggio che non sembra appartenerle: una periferia industriale dimessa o la cupola di una struttura per lo sci indoor.

Una pista da sci artificiale realizzata accanto a un impianto industriale dismesso per le Olimpiadi di Pechino.

La frequenza con cui questo tipo d'immagini appare nell'infosfera contemporanea, e gli elementi che hanno in comune, mi spinge a pensarle come un genere o, almeno, come la visualizzazione di una tendenza. Come lampi d'antropocene, queste immagini testimoniano gli effetti del riscaldamento globale in uno degli ecosistemi più fragili e delicati e, perciò, suscettibili di essere modificati in modo più visibile dalla sua azione.

In ordine di tempo, l'ultima manifestazione di questo genere è un breve video di 30", postato su X da Leon Simmons, ricercatore e membro del board del Club di Roma.

Queste immagini non mi interessano tanto per ciò che apportano al canone, quanto per il modo in cui vengono accolte dalle persone che s'imbattono in loro.

Sì, perché la cornice con cui vengono interpretate è, nella maggior parte dei casi, quella per cui si compatiscono/irridono/insultano le persone che si dedicano allo sci in un ambiente che non appare consono/adeguato/allineato con quella che si pensa dovrebbe essere una delle componenti essenziali di questa disciplina: la relazione con la natura.

Eppure la storia di questa disciplina, nata intorno agli anni '30 e arrivata al suo picco di popolarità trent'anni dopo, racconta qualcosa di diverso. Legato al modernismo e ai suoi valori, lo sci è una disciplina che ha a che fare più con le sperimentazioni delle avanguardie artistiche e la cultura indsutriale e urbana della sua epoca che non con il sentimento romantico e sublime che animava i primi alpinisti.

Costruita intorno al gesto stilistico ed esetetico, al cuore dell'esperienza dello sci ci sono infatti ebbrezza e velocità. Essa opera un rovesciamento della gerarchia del piacere rispetto all'alpinismo, l'attività che aveva dominato la fruizione della montagna nel corso dell'Ottocento.

Chi scia trae gioia dalla discesa e si annoia durante la (ri)salita ed è questa gerarchia che rende lo sci indifferente o, quanto meno, agnostico rispetto al paesaggio che lo circonda.

La sua esperienza non deve nulla o deve poco, pochissimo, al paesaggio e molto, moltissimo, alla qualità della superficie su cui si pratica.

Se, al mondo, ci sono più di 120 strutture indoor per praticare lo sci al chiuso, su neve artificiale è proprio perché il piacere di sciare deriva dalla vertigine di abbandonare il proprio corpo all'azione della forza di gravità, esercitando al tempo stesso una forma di controllo su di esso tramite l'esecuzione del gesto tecnico e la ricerca della perfezione stilistica.

Chiedersi che piacere provino gli sciatori a lanciarsi lungo piste di neve artificiale circondati dalla brulla cornice di un bosco secco significa guardare al fenomeno da una cornice interpretativa non corretta e proiettare sullo sci una dimensione che non gli è mai appartenuta.

Se non si capisce questo passaggio si continuerà a non capire perché decine di migliaia di persone in tutto il mondo continuano a ostinarsi a sciare immersi in contesti che gli effetti del riscaldamento globale rendono privi di ogni bellezza paesaggistica.

Disinnescare e poi decostruire questo piacere è il momento di antitesi che serve a chi cerca di costruire nuove forme di fruizione della montagna, consapevole che la neve, per come l'abbiamo conosciuta negli ultimi 100 anni, tenderà sempre più rapidamente a smettere di essere un elemento del paesaggio alpino.

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