Four Lions: pop holy war

Recensione al film *Four Lions* del regista Chris Morris. Il film racconta coi toni della commedia le vicende di quattro improvvisati jihadisti inglesi.

Four Lions: pop holy war

Omar è pakistano, vive in Inghilterra ed è musulmano. Omar lavora come guardiano notturno in un grande magazzino, è sposato ed ha un figlio, vive in una casa accogliente e non si fa mancare nulla. Omar è perfettamente integrato ed è laico. Ciononostante Omar è un jahadista, è il capo di una cellula terroristica, ed è risoluto a compiere un attentato.

Bastono poche righe per raccontare Four Lions, nerissma e grottesca commedia inglese del regista Chris Morris. L'idea è dirompente, perché si basa sul rovesciamento dei luoghi comuni che la rappresentazione orientalista è solita associare al terrorismo islamico ed ai suoi adepti.

I protagonisti non sono, infatti, studenti di qualche oscura scuola coranica, non applicano alla lettera i dettami della Shariia, e a stento li si potrebbe definire fondamentalisti religiosi, e, per inciso, non sono neppure dei professionisti del terrore (o perlomeno non sono come ci immagineremmo dei professionisti del terrore).

Omar, che è il protagonista, lo abbiamo già descritto, ma attorno a lui ruotano altri personaggi, che compongono la sua cellula terroristica: Waj, un ragazzo coatto, un poco tardo, ma di buon cuore, Faisal, stupido e goffo, che interpreta a suo modo l'Islam ed i suoi precetti, Hassan, giovane studente di buona famiglia, aspirante rapper desideroso di vivere un'avventura speciale, e Barry, un inglese di mezza età, convertito alla religione del Profeta, rozzo, provocatore ed antisemita.

Cosa spinge un musulmano perfettamente integrato, a cui la vita sembra avere dato tutto, verso la Guerra Santa? È questa la domanda a cui il film cerca di dare risposta. Non si tratta certamente di una questione strettamente religiosa, infatti, rispetto al fratello, ligio osservante dell'ortodossia islamica, Omar è di ampie vedute ed anzi sembra vivere con fastidio le imposizioni che la stretta osservanza della religione prescrive. Agli occhi di Omar queste sembrano fisime, anacronismi, minuzie, specialmente di fronte alle ingiustizie del mondo.

Cosa spinge un musulamno perfettamente integrato a diventare un guerriero nella Guerra Santa?

Dietro il richiamo all'Islam combattente si nasconde qualcosa di più profondo: un sentimento rettile, un disagio quasi fisico verso una cultura, quella occidentale, che è stata ormai pienamente interiorizzata. I riferimenti religiosi, il tentativo di scimmiottare un'estetica di rottura (quella del terrorismo islamico che Christian Uva descrive efficacemente ne Il terrore corre sul video) e la scelta della Jahad sono tentativi di porsi al di fuori di una cultura che è parte integrante del vissuto dei personaggi, ma viene sentita come inautentica e perciò rifiutata.

I protagonisti, invece che ascoltare brani del corano, vanno al martirio sulle note di Dancing in the moonlight, e quando Omar spiega al figlio la Guerra Santa, per farlo usa i personaggio de Il re leone. Simba diventa così un coraggioso mujahaeddin, Scar è nello stesso tempo l'Occidente corrotto e vorace ed il sionismo assassino, l'avvoltoio un drone americano.

La forza del film e della sua idea sta tutta nella presa di coscienza di questo scarto tra la visione del terrorismo a cui i media occidentali ci hanno oramai assuefatto e la schizofrenica rivolta di Omar e dei suoi compagni.

Non abbastanza “orientalizzati” per essere veri terroristi (Omar e Waj vengono cacciati anzitempo del campo di addestramento pakistano in cui si recano all'inizio del film)ma non abbastanza “occidentalizzati” da non sentire la contraddizione, Omar e compagni si ribellano contro ciò che sono, perché sono incapaci di riconoscere quello che sono o stanno diventando: il dramma planetario di un mondo che cambia a velocità vertiginosa.