A Bolzano il lavoro c'è, ma non basta per vivere - La turbolenza #6

Il paradosso di un sistema che ci ha illuso di poter diventare noi stessi, ma ci nega la possibilità di essere degli stronzi qualunque.

Il centro commerciale Waltherpark a Bolzano.

L'avvenimento clou dell'autunno a Bolzano è stata l'inaugurazione del Waltherpark.

Con la sua presenza, il nuovo centro commerciale avrebbe dovuto redimere la città dal degrado e creare occupazione, ridisegnando il quartiere di fronte alla stazione ferroviaria.

L’avvio, però, non pare promettente.

Qualche giorno dopo l'apertura al pubblico sono passato nel parco di fronte; sulle panchine dormivano due persone avvolte nei sacchi a pelo. Nessuno dev'essersi preso la briga di dir loro che l'edificio avrebbe dovuto spazzare via il degrado.

A me comunque hanno fatto simpatia, perché le panchine sembravano comode e perfette per sdraiarcisi sopra quando la provincia più ricca del paese non riesce a metterti un tetto sopra la testa.

Quanto all’effetto sociale del mall, se il buon giorno di vede dal mattino, sembra un mattino di merda.

Speriamo almeno che l’enorme edificio placcato oro “stampi” posti di lavoro come promesso, ma pare che non sia così. Stando ai responsabili dei negozi ospitati al suo interno, la maggior parte avrebbe aperto sotto organico.

Al netto delle solite querimonie da boomer sui giovani che “hanno perso lo spirito di sacrificio”, la verità è piuttosto che nessuno vuole venire nella città più cara d’Italia per lavorare e morire di fame nello stesso tempo.

Eh sì, perché le catene accasate al Waltherpark applicano ai loro dipendenti il CCNL, che per i lavoratori del retail non offre condizioni in grado di far fronte al costo della vita a Bolzano, men che meno in provincia.

Si crea così l’insolito paradosso per cui a Bolzano c’è abbondanza di una risorsa altrove scarsa, il lavoro, ma gli stipendi non sono abbastanza alti da permettere di viverci.

Il turnover che ne risulta è altissimo.

Tradotto: lavoratrici e lavoratori, selezionati in tutta Italia dai reparti HR delle catene per cui vengono assunti, arrivano in città e, quando capiscono che lo stipendio non basta neanche a sopravvivere, si licenziano e se ne vanno. Il tutto nel giro di pochi mesi.

Finché questa dinamica resta confinata al settore del commercio al dettaglio è ingiusta e spiacevole, ma non ha effetti sistemici. Il problema nasce quando tocca settori strategici.

È il caso delle professioni sociali e sanitarie. F., un amico che fa il sindacalista in una delle tre organizzazioni maggiori del paese, mi racconta che funziona paro paro anche nel settore dell’assistenza socio sanitaria.

Le aziende sanitarie locali appaltano attività a cooperative sociali. A loro volta, queste assumono infermiere e OSS con i contratti collettivi di lavoro, le cui retribuzioni non bastano per vivere in città.

In questo caso il turnover è di circa 6 mesi. Con la differenza che formare un sanitario ai processi di un ospedale, di una clinica o di una casa di riposo è più complesso e costoso che formare un addetto alle vendite. Risultato: si chiudono posti letto e ne risente la qualità del servizio di assistenza, che in una società sempre più anziana diventa fondamentale assicurare.

Per decenni il sistema altoatesino è stato presentato come infallibile, ma le frizioni tra locale e globale ne mettono in luce i limiti in modo sempre più evidente.

Da una parte la fuga dei giovani, soprattutto di madrelingua tedesca, che guardano ai paesi dell’aera D.A.CH. come il luogo in cui costruirsi una vita e una carriera all’altezza delle loro aspettative.

Dall’altra parte le evidenti difficoltà a garantire il sostentamento ai lavoratori di servizi essenziali a causa dell’ideologia che ha giustificato e giustifica i tagli alla spesa pubblica come strumento di efficienza.

La fotografia del momento è, dunque, quella di un sistema la cui ricchezza - oggettiva e confermata dagli indicatori - è sempre più concentrata nelle mani di pochi mentre a molti la sopravvivenza è negata da meccanismi che favoriscono l’inerzia della classe politica locale.

Le condizioni per una conflittualità sociale accesa e vibrante ci sarebbero tutte. Il problema è che la storia dell’Alto Adige ha incapsulato il conflitto intorno alla questione etnica.

Così la destra tedesca, che viaggia sospinta dal vento che spira dalla Germania, può tornare in modo sempre meno ridicolo a battere sui temi identitari; quella italiana a scaricare sulla popolazione migrante la frustrazione per un benessere sempre meno evidente, privilegiando soluzioni muscolari che non grattano nemmeno la superficie del problema; il tutto mentre la SVP continua a giocare il ruolo della tecnocrazia più interessata a baloccarsi con le alchimie dell’autonomia che a governare il territorio.

Mentre fuori dai confini provinciali il mondo viene ridisegnato secondo traiettorie non ancora ben individuabili, qui i segnali della turbolenza si moltiplicano continuano ad apparire con sempre maggior forza e frequenza.

🌪️ Che cos'è la turbolenza?

La turbolenza è il diario di lavoro di un libro su come la cultura globale si riflette nella politica altoatesina. Un modo per pensare in pubblico e condividere con te leggi gli appunti che prendo durante la strada.

Leggi anche le altre puntate della serie.

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