Un ricordo non è realistico

Una recensione a "Warfare. Tempo di guerra." di Alex Garland e Ray Mendoza.

Oscillazioni di luce bianca su fondo nero.
Ben F. Laposky - Electronic Abstraction 4

Premessa: non ho tempo e modo di vedere molti film.

Ma è un dato di fatto che nella maggior parte dei film che mi sono piaciuti negli ultimi 24 mesi c’era lo zampino di mio padre Alex Garland.

28 anni dopo è una rinfrescante variazione sul tema “apocalisse zombie”. Sì, la trovata degli alfa è un po’ loffia. Ma vogliamo paragonare quelli di Boyle-Garland a quelli di Snyder?

Facciamo il piacere, eh.

Di Civil War ho già parlato al tempo. E anche se ai creator multipolaristi non piace - perché i liberali, il centro radicalizzato e altro brignao assortito sul fastidio per la democrazia - per me resta un buon film.

Perché un film, con buona pace degli studi culturali, che hanno fatto tante cose buone e molte altre pessime, è una forma d’arte che si esprime creando immagini. E le immagini, diceva Deleuze, sono concetti. E i concetti sono ciò che la filosofia produce.

In Civil War di immagini ce ne sono parecchie. Quindi anche concetti.

Limitarsi a leggerlo solo a livello della sceneggiatura significa sfiorarne la superficie. Non dico che sia peccato mortale, ma nemmeno che sia la sola e unica chiave di lettura di un prodotto culturale.

Altrimenti dovremmo limitarci a dire che Nascita di una nazione è un orrendo film razzista. Lo è. Ma è anche un capolavoro della storia del mezzo, nel quale Griffith elabora elementi di linguaggio che sono alla base della grammatica cinematografica. Tutta.

Può far piacere oppure no; è un fatto incontrovertibile.

Questo pippotto mi serve per dire che non intendo farmi sanguinare gli occhi leggendo cosa hanno da dire, se lo hanno, i creator multipolaristi a proposito di Warfare. Tempo di guerra, l’ultimo film di Alex Garland.

Qui il nostro è in compagnia di Ray Mendoza, ex Navy Seal e consulente militare per il cinema, con l’obiettivo di raccontare un episodio dell’invasione americana dell’Iraq.

Chiariamo subito il punto politico: gli americani avevano torto. L’invasione dell’Iraq è stata un casino. Saddam non ha mai avuto armi di distruzione di massa.

Di questo nel film non c’è traccia. Non ce n’è nemmeno di condanna della “follia della gueeeeeerra”. Quindi non piacerà ai creator multipolaristi.

Loro sono pacifisti se la guerra la fanno gli americani. Il durello gli viene se la fa il compagno Xi, ma lui continua a non dar loro soddisfazione come la Cina continua a essere il principale e più importante partner commerciale di Israele, più di Stati Uniti, Germania e Italia messe insieme.

Bello il mondo multipolare, non trovi?

Ma torniamo a Warfare. In Warfare i soldati fanno cose da soldati: sparano, ammazzano ma, soprattutto, dispongono della proprietà e delle vite dei civili come più gli è utile. Danni collaterali, questa è la formula, ipocrita, sotto cui di solito viene rubricato tutto questo.

Vuol dire che il film fa schifo? No. Almeno non se non lo vuoi ridurre solo a una valutazione politica di un evento della storia contemporanea.

E non è nemmeno un film di brutale realismo, come ho sentito dire da diversi youtuber. O meglio, lo è in parte. Sono brutalmente realistici alcuni aspetti della storia messa in scena.

Il sound design prima di tutto. Iperdettagliato e capace, da solo, di reggere l’intero impianto emotivo del film, trasformandolo quasi in una simulazione.

Poi la coreografia dei movimenti dei soldati, che ricostruisce, anche in questo caso fin nei minimi dettagli, i movimenti coordinati di un’unità militare.

Infine il gergo militare, usato come già fece David Simon in quello che per me è il suo capolavoro: Generation Kill. Riportate con la massima fedeltà, sigle e abbreviazioni militari trasformano i dialoghi in semplici scambi di informazioni prive di ogni abbellimento letterario.

Il brutaaaaaale realismo del film non va oltre questi elementi.

A spazzarlo via basta la frase che apre il film. Garland e Mendoza dichiarano da subito che la vicenda si basa sui ricordi dei militari presenti, tra cui Mendoza stesso.

Ci sono poche cose più inaffidabili e fittizie del ricordo.

Figuriamoci di quello ricostruito da un gruppo di maschi inchiodati in una situazione al limite come l’imboscata di un gruppo di insorti.

Scariche di neurotrasmettitori, principi attivi di farmaci, stimolanti e sovrastiamoli sensoriali deformano l’esperienza vissuta. È in base a questa cacofonia di sensazioni che viene ricostruita la vicenda raccontata in Warfare.

Perciò sì, se stai cercando un’esperienza estetica che sappia raccontare che cos’è la guerra senza alcun giudizio questo è il film di cui hai bisogno. Un film a suo modo minimalista, diretto, squassante come il sorvolo di un jet a bassa quota.

Se sei un creator multipolarista, invece, resti a bocca asciutta. Perché il soft power del compagno Xi se ne sbatte il cazzo che la cinematografia sia l’arma più forte.

🌈 Ho un sogno 🌈

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