Dentro l'era della tecnologia totale

Dal potere delle piattaforme all'iperguerra: una recensione di Tecnopolitica di Asma Mhalla.

Uno spazio nero attraversato da linee, poligoni e figure.
Daito Manabe - Border

Non so se accada per fretta oppure per fama, ma ho l’impressione che ad alcuni autori vengano concesse libertà che ad altri sarebbero negate.

Tra quelli che ho letto di recente, Tecnopolitica di Asma Mhalla è quello che più mi ha suscitato quest’impressione. Leggendolo mi sono chiesto più volte come certi passaggi involuti, oscuri e inutilmente complessi abbiano potuto superare le forche caudine dell’editing.

Un peccato, perché la politologa francese di origine tunisina affronta temi cruciali che avrebbero meritato un’esposizione più chiara e diretta. Al centro della sua riflessione c’è la relazione tra grandi aziende tecnologiche e Stati, che sta trasformando le prime da semplici entità commerciali in veri e propri attori politici.

Il sempre più accentuato carattere duale - civile e militare allo stesso tempo - di molte tecnologie è una conseguenza diretta di questa trasformazione. Secondo Mhalla, essa rappresenta un pericolo per i sistemi politici democratici, i cui cittadini rischiano di diventare soldati inconsapevoli di conflitti che si svolgono sempre più spesso sotto la soglia del visibile.

Alla base di questo processo c’è la dissoluzione della distinzione tra privato (le piattaforme) e pubblico (lo stato).

È grazie a questa fusione che le aziende tecnologiche sono diventate l’infrastruttura che permette agli stati di esercitare la loro capacità di governo.

L’epoca della tecnologia “totale”, in cui viviamo secondo Mhalla, si fonda una redistribuzione del potere e della potenza che crea un nuovo tipo di stato: il Big State.

Se Big Tech è il complesso di aziende che progetta e costruisce l’infrastruttura attraverso cui esercita il potere, il Big State è il soggetto che la trasforma in uno strumento geopolitico.

Gli sforzi compiuti a metà degli anni ’10 da Facebook e Google connettere aree del mondo non coperte da internet ne sono un esempio: da un lato aumentano la scala dell’estrazione di dati (obiettivo commerciale), dall’altro proiettano globalmente la potenza dello stato, gli USA, in cui queste aziende sono state create.

Questa relazione, però, non è sempre pacifica. Lo mostra il contrasto che, nei primi mesi del 2023, ha opposto l’amministrazione Biden a Elon Musk a proposito dei costi della copertura satellitare Starlink in Ucraina.

L’episodio rivela il ruolo politico e diplomatico che le piattaforme hanno acquisito, conferendo loro una peculiare influenza geopolitica.

Che a definirla sia il tecnologo che le crea o lo Stato in cui vengono sviluppate, le tecnologie hanno un peso politico, perché intorno al loro controllo ruota parte della competizione internazionale.

Le tecnologie digitali, infatti, non solo trasformano i dati in informazioni, ma ne accelerano l’uso strategico da parte degli Stati.

Chi riesce a ottimizzare la raccolta e l’analisi dei dati agisce più rapidamente dei concorrenti, in un contesto in cui i cicli di azione e reazione sono sempre più rapidi. Da qui nasce, almeno in parte, l’aumento delle tensioni globali degli ultimi anni.

Mhalla definisce questa condizione “iperguerra”: una sorta di stato di guerra permanente in cui anche i pensieri e la capacità di ragionamento delle persone diventano obiettivi militari. La dimensione cognitiva si aggiunge così ai cinque domini tradizionali del campo di battaglia: terrestre, aereo, navale, spaziale e cyber.

La frammentazione dell’opinione pubblica, alimentata dalla logica dell’economia dell’attenzione, accentua la natura “iper” della guerra: divisa in microcluster sempre più specifici, l’opinione pubblica perde coesione e forza politica. Ciò favorisce sorveglianza, manipolazione e propaganda, anche da parte di attori esterni.

Come difendersi, allora, dall’estensione del dominio della guerra resa possibile dall’intreccio tra Big Tech e Big State?

Mhalla propone la figura del Big Citizen: una nuova forma di cittadinanza globale, capace di mediare tra i due poli e di opporre un controllo politico alle loro logiche.

Il Big Citizen deve superare l’idea di democrazia di massa e fondare un nuovo “regime di verità”: non più la ricerca di una verità unica, ormai ridotta a caleidoscopio di opinioni, ma la capacità di decodificare costantemente i discorsi e i modi in cui vengono enunciati. In un mondo sovraccarico di informazioni, è questo l’unico strumento di difesa che può restituire ai cittadini il ruolo politico necessario a garantire la sopravvivenza delle loro democrazie.

Tecnopolitica

Come la tecnologia ci rende soldati

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