Che cos’è l’atto di creazione di mondi.

Una "performative lecture" sulla costruzione di mondi alternativi, virtuali e di finzione.

Un neonato in un'incubatrice.
Shu Lea Cheang, Ewen Chardronnet - UNBORN0x9
Il testo che stai per leggere è la trascrizione della performative lecutre che ho tenuto a MAST all'inizio di agosto. Si basa sulle Note sulla creazione di mondi, ma introduce alcuni concetti a cui ho avuto modo di pensare solo dopo la loro pubblicazione.

Chiudi gli occhi. Chiudili e immagina di essere in un altro luogo e in un altro tempo rispetto a quelli in cui ti trovi mentre stai leggendo queste righe.

È il primo maggio del 1977. Sei seduto su una poltroncina del Northpoint Theatre di San Francisco, pronto ad assistere alla prima proiezione assoluta di un film di cui non sai nulla.

Le luci della sala si spengono. Alle tue spalle, dalla cabina di proiezione, nella sala inizia a spandersi il brrrrr del proiettore che si avvia. Il fascio di luce attraversa rapidissimo il buio della sala e lo schermo si accende.

Dopo il logo della casa di produzione sullo schermo compare una scritta. Il font è sottile, acuminato, colorato d'un azzurro quasi ceruleo

Schermata nera con la scritta: "A long time ago in a galaxy far, far away....

Quando la scritta scompare, un suono rompe il silenzio della sala. Sembra provenire da un altrove lontanissimo, eppure è forte. Talmente forte da riempire lo spazio in cui ti trovi.

Non te ne sei neppure accorto, ma è bastato quel suono a farti stringere forte i braccioli della poltroncina mentre davanti ai tuoi occhi una scritta dai contorni gialli ha cominciato ad arretrare sullo schermo, sfondandone la superficie come se lo spazio della quarta parete si stesse prolungando verso l'infinito del cosmo.

La scritta che sprofonda nel buio dice: Star Wars. E mentre si perde sul fondo dello schermo, dalla parte bassa un testo inizia a strisciare verso l'alto.

Le prime parole che leggi dicono: "Episodio IV. A New Hope". Quelle immediatamente seguenti parlano di un periodo di guerre civili, in cui astronavi ribelli, colpendo da una base nascosta, hanno ottenuto la loro prima vittoria contro il malvagio impero galattico. Durante la battaglia, spie ribelli hanno rubato i piani segreti dell’arma finale dell’impero, una stazione spaziale corazzata chiamata “Morte Nera” ed inseguita dagli agenti dell’Impero la principessa Leia corre verso casa con i piani rubati...

Quello che ti ho appena descritto è l’atto di fondazione di uno dei più vasti e celebri universi narrativi della cultura pop contemporanea. Per farlo partorire nella tua mente sono bastati pochi secondi e poche informazioni.

Quello che sai è che la storia a cui stai per assistere è ambientata nel passato. Sai anche la storia a cui stai per assistere è già cominciata: A new hope, il film che stai guardando seduto sulle poltroncine del Northpoint Theatre di San Francisco il primo maggio del 1977, è il primo film di Guerre Stellari ma è anche il quarto episodio di una saga.

I mondi sono cronologie.

Se ne trova una alla base di ogni universo narrativo. Le cronologie sono le fondamenta di un mondo di finzione. Sono la struttura. Sono l’architrave che ne regge l’intera architettura.

Ma le cronologie sono anche l’espediente che dà profondità a un universo narrativo, facendocelo percepire come un mondo di vivo, a cui possiamo contribuire e di cui possiamo entrare a far parte.

Quando adatta per il grande schermo la trilogia de Il signore degli anelli, anche Peter Jackson fa cominciare il racconto dalla costruzione di una cronologia.

Il mondo sta cambiando e questo cambiamento è iniziato con la forgiatura dei grandi anelli. Anche in questo caso, la storia a cui stiamo per assistere è già iniziata.

Essa non è altro che l’atto finale di una trama iniziata molto tempo prima, in un epoca di eventi di fronte alla cui grandezza e potenza quelli a cui stiamo per assistere possono solo impallidire.

La storia, diventa leggenda.

Ed è così che, emergendo da una cronologia, dispiegandosi lungo una linea del tempo, prende vita un mondo.

Come si crea una cronologia?

Troviamo la risposta a questa domanda in un piccolo manuale di gioco di ruolo. Si intitola Microscope e lo ha scritto un game designer statunitense di nome Ben Robbins.

La prima volta che me ne hanno parlato, più di dieci anni fa, me lo avevano presentato come il gioco in cui si inventa la storia. Io penso che invece sia più corretto dire che Microscope è il gioco in cui si creano le linee del tempo.

Per crearle Robbins ha scomposto le cronologie nei loro elementi costitutivi, che sono tre:

  • i periodi, lunghi intervalli di tempo che possono corrispondere a un’epoca;
  • gli eventi, accadimenti puntuali e localizzati all’interno di un periodo;
  • le scene, avvenimenti che accadono all’intero di un evento e contribuiscono a illuminarne i punti oscuri.

La cronologia di Star Wars è composta da tre periodi: il periodo della fine della repubblica (Episodi 1-3), quello dell’apice dell’impero (Episodi 4-6), quello della fine dell’impero (episodi 7-9).

Ogni film o serie racconta un singolo evento o una collezione di eventi.

Rogue One racconta la battaglia di Yavin, l’evento al centro di tutta la cronologia, durante la quale vengono rubati i piani della Morte Nera. La seconda stagione di Anodr racconta il genocidio di Gorm e di come quell’evento porti la ribellione alla conoscenza dell’esistenza della Morte Nera.

Ogni evento è costituito da scene.

La morte di Obi Wan Kenobi è una scena all’interno dell’evento in cui Luke, Leia, Solo e i loro compagni salgono per la prima volta a bordo della stazione orbitante di nome Morte Nera. Questo evento fa a sua volta parte del periodo in cui l’impero galattico è al massimo del suo splendore e della sua potenza.

La natura di una cronologia è frattale ed è proprio questa caratteristica che rende le cronologie uno strumento in grado di generare mondi.

Zenone ci ha insegnato che, per quanto corra veloce, Achille non riuscirà mai a superare la tartaruga perché nello spazio matematico la linea, la figura geometrica che unisce due punti tra di loro, è divisibile all’infinito.

In una cronologia di finzione tra due periodi ci sarà sempre il posto per un terzo periodo, così come tra due eventi ci sarà sempre posto per un terzo e tra due scene posto per una terza.

E così via, all'infinito.

Come si crea un mondo?

Le cronologie sono potenti strumenti di worldbuilding. Attraverso di loro i mondi costruiscono esplorando i periodi, gli eventi e le scene da cui prendono vita.

Ma per dispiegarsi le cronologie hanno bisogno di una base di partenza. Ma come si crea questa base di partenza che poi è il mondo stesso a cui la cronologia permette di dare vita?

La risposta si trova in un altro gioco di ruolo scritto da Ben Robbins. Si intitola In this world e il suo scopo è la creazione collettiva di mondi immaginari.

Per crearli, i giocatori scelgono di partire da un argomento ben definito: il matrimonio, la religione, le forze dell’ordine. L'argomento funziona come base per creare lista di elementi, da cinque a sette, a partire da cui si scrivono tra dieci e dodici dichiarazioni. Le dichiarazioni sono frasi che descrivono in modo non controverso come l'argomento scelta funziona nel mondo attuale, quello in cui viviamo.

Partendo dalle dichiarazioni, alternandosi a turni, i giocatori possono scegliere di fare tre cose:

  • descrivere in che modo una dichiarazione cambia nel mondo che stanno creando;
  • scegliere quali dichiarazioni restano identiche a se stesse;
  • aggiungere un dettaglio a una dichiarazione che è già stata scelta e che contribuisce a definire il mondo che stanno creando collettivamente.

Se la cronologia è uno strumento che permette di costruire un mondo esplorandone la linea del tempo storico, le meccaniche di In this world permettono di costruire un mondo modificando per distorsione il modo in cui funziona quello in cui viviamo.

Così, di distorsione in distorsione, dal mondo attuale ne viene generato uno diverso, virtuale. Un mondo che è in parte simile al nostro ma allo stesso tempo è molto diverso da esso.

Un mondo che nasce in modo molto simile a quello in cui, attraverso un processo chiamato meiosi, da una cellula ne nasce un’altra che è al tempo stesso simile e diversa da quella di partenza.

Scenario e conflitto.

Le meccaniche che ho descritto nei paragrafi precedenti sono alla base di un format per il workshop di worldbuilding a cui ho lavoro fin dall'estate del 2024.

Da allora l'ho proposto in tre diverse occasioni: a Il potere dell'immaginazione. La montagna che (ancora) non c'è; a Common Ground; a MAST. Ognuna di esse mi ha permesso di approfondire, migliorare e imparare a gestire diversi aspetti del format.

In particolare, in questo periodo, la scommessa più grande è stata quella di integrare l’approccio cronologico e quello meiotico alla costruzione di mondo.

Il secondo, che costruisce i mondi per divisione cellulare, è stimolante ma rischia di risultare superficiale. Il primo invece è più profondo, ma rischia di perdere contatto con la realtà.

Integrandoli l'uno con l'altro è possibile conferire maggior profondità al metodo cellulare e, allo stesso tempo, ancorare quello cronologico alla realtà attraverso un'istanza curatoriale forte e definita.

Per congiungere i risultati dei due approcci serve uno scenario.

Lo scenario la cornice narrativa entro cui vengono definiti i punti di appoggio da cui partire per esplorare il mondo e costruirne la cronologia.

La scrittura dello scenario è l'unico momento del formato in cui, per scelta, si rinuncia alla dimensione collettiva della narrazione per avventurarsi nel regime dispotico dell’autore.

Lo scenario è, infine, l'elemento che introduce nel format il motore di ogni racconto: il conflitto. Perché il conflitto, ce lo ha insegnato Marx, non è solo il motore della narrazione ma è anche il motore che muove la Storia.

Non c'è Storia senza conflitto, così come non c'è racconto.

Note conclusive.

Nella lenta agonia della modernità, ci siamo abituati a vivere in un presente perpetrato all'infinito dalla rapidità della comunicazione elettronica.

Immersi in questo flusso tumultuoso abbiamo smarrito la capacità di pensare a un futuro alternativo al tempo (quasi) reale in cui viviamo. Così ci hanno insegnato intellettuali straordinari come Svetlana Boym, Mark Fisher e Simon Reynolds.

Confrontandomi con le loro impietose diagnosi del contemporaneo, mi sono convinto che sia utile esercitare collettivamente l'immaginazione e imparare a costruire mondi.

Farlo permette di rompere il ritmo della noia quotidiana e liberare lo spazio che serve per tornare a raccontarci l'aspetto che vorremmo avesse il mondo di domani.

In un presente in cui il potere rappresenta se stesso costruendo mastodontici apparati effimeri per giustificare il proprio progetto egemonico, lavorare per sottrazione, mettendo la parola al centro del proprio agire, è un gesto carico di valenze umane e politiche.

L'atto di raccontare storie nasce come evoluzione del linguaggio. Esse sono il più potente strumento che abbiamo a disposizione per costruire una realtà condivisa: dopotutto è il potere della parola che genera mondi ma è l'organizzazione che li trasforma in realtà.

Questa, però, è un'altra storia e non è qui che possiamo raccontarla...

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