Una cosa che Charli XCX mi ha insegnato sull’essere genitore
Il racconto di come la canzone di una pop star è stata capace di arrivare dritta nel mio stomaco di un maschio bianco quarantenne, insegnandomi qualcosa che non sapevo sull'avventura di essere un padre.

Sono seduto in auto, facendo la spola tra casa e la sala in cui, da poco, è finita la festa di compleanno di E, il più grande dei miei figli.
Dalla playlist che ascolto quando guido - un minestrone di musica messo insieme seguendo il solo, semplice criterio che mi gasi - la riproduzione casuale di Spotify pesca un pezzo: I think about it all the time, di Charli XCX.
Brat, l'album da cui è tratto, è il terzo disco che ho suonato di più nel 2024 ma è solo in quel momento che la canzone mi arriva per la prima volta; e mi arriva forte, così forte da restarmi addosso tutta la notte, insieme alla stanchezza accumulata durante quella giornata.
Il cuore della canzone è un folgorante frammento di storytelling, incastonato intorno a due lunghi ritornelli dall’ultimo dei quali fuoriesce una seconda strofa breve, che porta a termine il racconto prima che il pezzo si chiuda ripetendo per l’ultima volta la frase che gli dà il titolo.
Al centro di esso c’è qualcosa di non identificato, l’it a proposito del quale la cantante dice di pensare tutto il tempo. Quel qualcosa, lo scopriamo grazie alla seconda frase del ritornello, è una possibilità, quella di non avere più tempo; ma per cosa esattamente?
Charli XCX ce lo spiega immediatamente, dicendoci che finalmente ha trovato un compagno e che potrebbe avere un bambino insieme a lui, perché un giorno potrebbe averlo se le resterà ancora il tempo.
Il ritornello si chiude con la protagonista che si domanda se la scelta di avere un figlio non darebbe alla sua vita uno scopo nuovo e, preso nella sua interezza, dice così:
I think about it all the time/That I might run out of time/But I finally met my baby/And a baby might be mine/‘Cause maybe one day I might/If I don't run out of time/Would it give my life a new purpose?
La nebbia di domande con cui si apre la canzone a questo punto si dissolve e noi che l’ascoltiamo siamo trasportati a Stoccolma.
La serata è gelida e Charli XCX ci racconta di stare camminando, pensando seriamente e per la prima volta al suo futuro, mentre ascolta delle demo sul suo iPhone. La passeggiata termina a casa di una coppia di amici, dove la cantante conosce per la prima volta il loro bambino.
L’incontro è potente: ha la forza delle epifanie.
Com’è sublime, si strugge la cantante, che gioia, dio mio dio mio, essere lì e guardare l’amica che, vestita con gli stessi abiti di sempre, tiene in braccio il suo bimbo. Una madre raggiante e uno splendido papà ed entrambi conoscono cose che la cantante ignora.
La strofa recita così:
I was walking around in Stockholm/Seriously thinking 'bout my future for the first time/It was ice-cold, playing demos on my iPhone/I went to my friend's place and I met their baby for the first time/How sublime/What a joy, oh my, oh my/Standing there Same old clothes she wore before, holding her child, yeah/She's a radiant mother, and he's a bеautiful father/And now they both know thesе things that I don’t.
E, quando termina, il ritornello si ripete per due volte, con un’unica variazione. Oltre a chiedersi se un figlio darebbe alla sua vita un nuovo scopo, Charli XCX si chiede anche se non le farebbe perdere tutte le sue libertà (Would it make me miss all my freedoms).
A quel punto, per chiudere il racconto, inizia la seconda strofa.
I due amici, riflette la cantante, sono esattamente gli stessi, ma ora sono diversi. E io, ammette, sono così spaventata di perdermi qualcosa. Così, sulla strada di casa lei e il compagno hanno una conversazione: dovrei smettere di prendere anticoncezionali?
È una domanda che Charli XCX rivolge a se stessa e al compagno nello stesso momento perché, nello schema esistenziale del tutto, la mia carriera, riflette infine la cantante, appare così insignificante.
And they're exactly the same, but they're different now/And I'm so scared I'm missin' out on something/So, we had a conversation on the way home/Should I stop my birth control?/‘Cause my career feels so small/In the existential scheme of it all.
La base che regge questo testo è base semplice, composta da pochi elementi che continuano a ripetersi, attraversati da frammenti di voce mandati in loop, piccole variazioni che ne fanno tremolare la struttura, restituendo così la condizione emotiva della sua interprete mentre confessa le proprie fragilità di fronte a una scelta che sembra troppo grande per essere presa.
Charli XCX non ci sta dicendo che davanti all’epifania ha deciso di diventare madre.
Ci dice che, messa di fronte alla sublimità di un nuova esistenza, si sente lacerata tra il desiderio di provare quell’emozione e la paura della perdita che il diventare genitori comporta.
Lo fa con una scrittura tanto semplice quanto potente, capace di arrivare a me, un maschio bianco quarantenne, con una forza capace di scavarmi dentro e farmi tremare le gambe, perché anche io sono passato attraverso le stesse paure e mi sono fatto le stesse identiche domande.
Ce le facciamo tutti quando scegliamo o ci capita di diventare genitori e, da quando mi è successo, non ho smesso per un istante di chiedermi che cosa ha significato e continua a significare per me essere diventato un padre.
Forse lei non lo sa, o non se ne è accorta, ma nella canzone c’è una delle risposte che mi sono dato.
Quando Charli XCX nota che i suoi amici sono exactly the same, but they’re different now coglie esattamente il senso (uno dei) di essere genitori: restare se stessi e diventare completamente diversi in uno stesso istante.
È una cosa su cui rifletto di continuo ed è difficile da spiegare.
Sono la stessa persona di sempre, eppure sono diverso. Conosco, per riprendere il testo della canzone, cose che ad altri sono ignote.
E non nel senso che ci sono cose che puoi capire solo se hai cambiato un pannolino in vita tua, ma quello per cui diventare responsabile di una vita che non è la tua ne curva la traiettoria in direzioni che non puoi comprendere se non lo sei mai diventato.
La paura che quella vita possa spezzarsi; la gioia di vederla cambiare giorno dopo giorno; l’emozione di ricostruire il mondo guardandolo con gli occhi di tuo figlio; l’esperienza entusiasmante di osservare come un’intelligenza cresce confrontandosi con ciò che la circonda.
Sono queste le cose che incontri percorrendo quella rotta. Sono queste le cose che che ti cambiano ma che non puoi affrontare se non aggrappandoti alla persona che sei diventato fino a quel momento.
È il ciclo deleuziano di differenza e ripetizione, se vuoi.
In altre parole, il senso del cambiamento.
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