Assediare il turismo - recensione e presentazione di All Intrusive - Bolzano 6 settembre

Il saggio della scrittrice altoatesina Selma Mahlknecht va alla ricerca delle origini culturali del turismo e illumina così alcune zone d'ombra di un'attività sempre più al centro del dibattito culturale, sociale ed economico contemporaneo.

Panorama del Tre Cime di Lavaredo.
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Venerdì 6 settembre alle 18.30 presenterò All Intrusive e la sua autrice alla Libreria Cappelli di Bolzano.

Il turismo è al centro del dibattito contemporaneo.

Da una parte, infatti, sono sempre più evidenti le esternalità negative che questa attività, nata nel corso dell’Ottocento a partire dalle abitudini dell’aristocrazia europea, comporta per l’ambiente e le comunità che le sono esposte.

Dall’altra parte, invece, c’è chi guarda al turismo e al suo sviluppo come attività strategiche per il futuro del nostro paese. È il caso, per esempio, del ministro Santanché che sulla retorica del turismo come “petrolio d’Italia” ha costruito ogni iniziativa intrapresa finora nel corso del suo mandato.

L’attualità, la centralità e l’incandescenza del tema fanno sì che, nel panorama editoriale, il numero di pubblicazioni dedicate al turismo e ai suoi effetti sia in continuo aumento. Al novero di queste uscite si aggiunge, da poche settimane, anche All Intrusive, traduzione del saggio Berg un Breakfast della scrittrice altoatesina Selma Mahlknecht, pubblicato dalla casa editrice alphabeta di Bolzano.

All intrusive
La montagna tra nostalgie e disillusioni turistiche

Leggi la scheda del libro.

Per sgombrare il campo da possibili equivoci è opportuno chiarire immediatamente ciò che All Intrusive non è, ovvero un saggio dal taglio sociologico ed economico sul fenomeno dell’overtourism.

Piuttosto, All Intrusive è un saggio letterario che, partendo dalla lettura dell’attualità, si propone di “assediare” il turismo, elaborandone una teoria che traccia la rete di relazioni culturali da cui quest’attività ha avuto origine.

Quello di Mahlknecht è, perciò, uno scavo genealogico nel concetto di turismo che avviene anche alla luce della storia e dell’esperienza personale della sua autrice, nipote di locandiera e residente in una delle più rinomate mete del turismo alpino, la Svizzera.

La montagna o, meglio, le Alpi fanno infatti da sfondo a tutti i ragionamenti di Mahlknecht senza, per questo, limitarne la portata universale.

Qual è, dunque, la teoria del turismo proposta dalla scrittrice altoatesina?

Per circoscriverla Mahlknecht avvia il suo ragionamento ricostruendone la genesi storica. Tale attività deriva il suo nome dal cosiddetto Grand Tour, il viaggio di piacere con cui, a partire dal Seicento, l’aristocrazia europea di dedicava alla ricerca di se stessa attraverso il confronto diretto con le vestigia e le rovine del passato.

I touristes erano perciò coloro che potevano permettersi di spostarsi nello spazio mossi soltanto da una necessità di carattere estetico e personale, esercitando così un privilegio in grado di distinguerli dal resto dei viaggiatori che, diversamente da loro, erano costretti a muoversi per necessità.

Inteso questo senso, il viaggio recuperava anche una serie di significati sacri che a lungo tempo ne hanno caratterizzato lo svolgersi. È alla luce di essi che il turismo si definisce come una sorta di “pellegrinaggio laico”, in grado di conferire a chi lo intraprende una comprensione al tempo stesso più profonda e più elevata dei suoi simili a cui, per ragioni di volontà o, più spesso, di mancanza di privilegio di classe, non è concesso farlo.

È nel formarsi di questo concatenamento tra espressione di privilegio da una parte e strumento di formazione e arricchimento personale dall’altra che il turismo, per tramite dell’atto di viaggiare, assume quella valorizzazione positiva che, nel corso del suo sviluppo storico, ne ha guidato l’affermazione come attività di massa, profondamente legata ai valori della modernità.

Una relazione non priva di ombre; tra gli anni ’30 e gli anni ’60 del Novecento, quando il turismo si apre alla sua dimensione di massa, esso viene utilizzato dai totalitarismi come forma di controllo sociale.

Nelle Germania nazista, per esempio, l’istituzione ricreativa era guidata da un principio, Kraft durch Freude (la forze attraverso la gioia), che vedeva l’accesso alle vacanze come uno strumento per ripristinare le energie nervose dei lavoratori. “Solo con un popolo che mantiene i nervi saldi” affermava Hitler, citato da Mahlknecht, “si può fare una vera, grande politica”.

Spogliato almeno in parte della sua dimensione di controllo, il principio delle vacanze per tutti transita nella società dei consumi, legandosi alla dinamica di compressione dei prezzi che ne caratterizza la produzione e che, oggi, nel turismo, si sfoga in una costante contrazione dei salari.

Il viaggio di piacere, per turismo, diventa così un momento all’interno di un ciclo nel quale il lavoratore contemporaneo, sempre più spesso un fornitore di servizi a uso e consumo di terzi, si trasforma in cliente, consumatore di servizi a sua volta, scaricando, per un tempo limitato, lo sfruttamento di cui è oggetto su altri lavoratori.

Lungo la linea di sviluppo che parte dalla funzione estetica del viaggio aristocratico per arrivare a quella di benessere (wellness) del viaggio contemporaneo, il turismo non perde mai la sua dimensione di privilegio di classe.

È in quanto tale che opera quindi come potenza in grado tanto di terraformare l’ambiente, quanto di strutturare le relazioni di ospitalità.

Per accogliere le masse di lavoratori in cerca di benessere ed esperienze di illuminazione l’ambiente deve essere modificato in base alle loro esigenze e aspettative, quella di autenticità o di fedeltà a una tradizione per esempio, creando così una messa in scena della natura in forma di paesaggio.

Una dinamica di cui le Alpi sono oggetto fin dalla loro creazione, iniziata, nel corso del Settecento, per impulso della cultura illuminista, e poi continuata fino ai giorni nostri.

Altrettanto teatrali sono le relazioni umane che il turismo determina.

Nel suo darsi, infatti, l’equilibrio del potere determinato dal turismo privilegia le necessità dell’ospite sull’ospitante, il quale vede nel primo tanto una benedizione per l’economia che crea, fondamentale soprattutto per la sopravvivenza delle comunità di montagna, quanto una maledizione per le perturbazioni che genera nella sua vita quotidiana.

Oltre che una messa in scena che altera la realtà, il turismo è un gioco di maschere che vela, nasconde e mistifica in nome di un’idea di purezza e autenticità artefatta e artificiale.

È questo, in sintesi, il cuore del ragionamento di Mahlknecht, la teoria con cui la scrittrice cinge d’assedio il turismo, provando a decostruire la genealogia del suo discorso. Ma cosa viene dopo?

Nella risposta a questa domande c’è quella che è probabilmente la parte meno convincente del libro.

Per Mahlknecht il turismo nella sua dimensione di massa si supera ricostruendo un’idea di viaggio basta sull’incontro con l’altro, da intendersi non come pretesa temporanea di servizi ma come assunzione della parte di rischio che ogni incontro porta con sé, quello che si corre quando, tornando a casa, ci si guarda allo specchio e si finisce per non riconoscersi più, almeno in parte.

C’è una parte di ingenuità nella bellezza e nella poesia di questa soluzione, una naïveté che emerge spesso quando Mahlknecht affronta i nodi che legano il potere all’economia o quando descrive una certo tipo di rapporto con la montagna e la natura.

Dettagli che non sminuiscono il cuore del pensiero che anima All Intrusive. Un pensiero che, al netto delle sue superficialità, resta potente e incredibilmente stimolante quando ci si confronta con esso.

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