Per Luca Di Meo, futbologo

Un ricordo di Luca Di Meo, futbologo e rivoluzionario, con cui ho avuto l'onore e il piacere di incrociare la strada.

La raffigurazione di un buco nero

Il 3 novembre del 2012 poter guardare una partita di calcio in diretta streaming sul proprio smartphone è una possibilità che, in Italia, si attualizza per pochi, di sicuro non per me.

Non ricordo esattamente come, quella sera, io abbia fatto esperienza del fatto che l'Inter di Stramaccioni sbancasse 1 a 3 lo Juventus Stadium, infrangendo l'imbattibilità della Vecchia Signora che, in quegli anni, era, semplicemente, troppo forte per chiunque.

Forse vidi soltanto gli highlights, grazie a una di quelle app pezzotte che, allora, li trasmettevano in leggera differita, avvisandoti con una notifica ogni volta che una squadra segnava.

Oppure, più probabilmente, seguii quella vittoria ricostruendone lo sviluppo attraverso la narrazione collettiva che se ne faceva su Twitter.

Ciò che invece non scordo, di quella serata memorabile, è la voce che, alla notizia del gol di Cassano che fissa il risultato, esclama: "è l'apoteosi di Stramaccioni!".

Quella voce era la voce di Luca Di Meo, scomparso pochi giorni fa.

Il 3 novembre del 2012 è la sera del convegno di Futbologia. L'evento si è chiuso da poche ore, segnando il punto più alto di una folle parabola a campanile, iniziata una manciata di mesi prima.

Il 2012 è ancora un tempo in cui un gruppo di semi sconosciuti incontratosi in rete può partire dall'idea di organizzare una serata su "calcio e potere" in un centro sociale scalcinato di Benevento e arrivare a pensare di poter cambiare il modo di cui si parla di calcio in Italia, portando un attacco di geometrica potenza e precisione al cuore della narrazione calcistica del nostro Paese.

In quel gruppo di persone, la personalità di Luca brilla come un buco nero imprigionato da un diamante. Se gli stai vicino la temi, quella luce, perché emana da un abisso su cui sai di non volerti affacciare ma, al tempo stesso, non puoi fare a meno di seguirla, perché la sua forza illumina il mondo che ti circonda e ne piega la traiettoria.

Sono forze del genere che muovono le persone da cui nascono le rivoluzioni e anche noi, nel nostro piccolo, eravamo convinti di poterla vincere, la nostra rivoluzione.

E invece, Ça va sans dire, abbiamo perso.

Perché la rivoluzione non è catenaccio, come dice Toni Negri che, secondo me, con rispetto, di pallone non ne capisce un'acca. La rivoluzione non è sparagnina, perché la rivoluzione è lo spreco della gioia.

È arrivare secondi con 82 punti, la rivoluzione. È Bill Shankley al Liverpool, la rivoluzione. La rivoluzione è calcio totale. Si attacca insieme, si difende insieme.

Ecco cos'è la rivoluzione, altro che catenaccio.

Non credo di averlo mai condiviso con te questo delirio, troppo timido e spaventato per farlo; perciò lo scrivo oggi, ricordandoti, Luca, e, se ti capiterà di leggerlo, lì dove sei adesso, se ne avrai il tempo, sposta leggermente la penna che lascio qui accanto alla scrivania.

Saprò riconoscere che sei tu, Mentalista.