Note su ChatGPT, lavoro creativo e automazione

Alcuni appunti sul modo in cui le intelligenze artificiali creative inaugurano un nuovo capitolo dell'industrializzazione, quella del lavoro cognitivo.

Opera di Young-Hae Chang Heavy Industries, che Raffigura la frase "You die at your desk" in ideogrammi e inglese.
Young-Hae Chang Heavy Industries, You die at your desk

Di recente, in un live streaming organizzato per raccontare l'hype per la diffusione delle intelligenze artificiali creative, mi è stato domandato che differenze ci sarebbero tra ChatGPT e Google.

La mia risposta è stata piuttosto lapidaria. Poche, forse nessuna, a parte il fatto che ChatGPT è ferma al 2021.

Se proviamo a descriverla consapevoli di come funziona la tecnologia che, oggi, le permette di funzionare, ChatGPT non è altro che un motore di ricerca la cui interfaccia invita a formulare le proprie intenzioni di ricerca in linguaggio naturale, invece che ragionare per parole chiave come è abituato chi ha vissuto l'avvento dei motori di ricerca.

Interpolando la massa di dati e informazioni messa a sua disposizione attraverso quell'enorme archivio che è la rete internet, ChatGPT non fa altro che formulare una risposta all'input dell'utente, restituendogli un testo formulato in linguaggio naturale invece che una lista di fonti da cui attingere a una serie di testi anch'essi formulati in linguaggio naturale.

Il risultato di questa operazione assomiglia a un file .jpeg sfuocato di tutta l'informazione contenuta nel web, come spiega, con metafora perfettamente calzante, lo scrittore Ted Chiang in un articolo pubblicato sul New Yorker.

Gli strafalcioni che ChatGPT commette quando deve restituire risposte che si avvicinano all'attualità del tempo presente o l'effetto comico che produce quando le viene chiesto di ricostruire il pensiero o lo stile di un autore nascono proprio dal modo in cui l'intelligenza artificiale di Open Ai funziona e dal fatto che la mole di informazioni che può processare per elaborare le sue risposte è limitata nel tempo.

Quando, alla richiesta dello scrittore Vanni Santoni di creare un racconto nel suo stesso stile, risponde abbozzando un incipit in cui si parla di sere d'estate, campagna toscana illuminata dalla luna e di un uomo che cammina lungo una strada sterrata, quello che ChatGPT sta facendo è interpolare le poche informazioni a sua disposizione (il nome dello scrittore e la sua provenienza geografica) per comporre quello che, basandosi sui modelli a sua disposizione, essa crede sia un racconto.  

ChatGPT direi... Migliorabile. Torno a far disegnare Midjourney, va'.

Posted by Sarmi Zegetusa on Tuesday, February 14, 2023

Il risultato è, ovviamente, risibile. Ma quanti testi di Vanni Santoni, uno scrittore la cui fama è infinitesimale se rapportata alla vastità della rete (non avertene a male, Vanni), sono disponibili su internet? E quanti di essi sono stati correttamente etichettati come testi scritti dalla sua mano?

È la scarsa quantità di contenuti presenti e la loro etichettatura imperfetta che rende insoddisfacente la risposta di ChatGPT alla richiesta dell'autore fiorentino. Gli elementi a disposizione dell'intelligenza artificiale per ricostruirne lo stile sono infatti scarsissime, quasi nulle.

In termini di lavoro creativo è proprio questa caratteristica che rende ChatGPT meno interessante di Midjourney che, pur avendo indirizzato il suo sviluppo in una direzione analoga, la creazione di un archivio di foto stock iperpersonalizzabile, conserva una conturbante capacità divinatoria rispetto alle intenzioni dell'utente.

Tuttavia questo aspetto non rende ChatGPT e gli altri modelli di intelligenze artificiali text-to-text privi di valore.

Essi si dimostrano alquanto utili quando si deve industrializzare la produzione di testi molto standardizzati, in cui è più importante il rispetto di certi caratteri formali che l'invenzione creativa; per esempio, i testi ottimizzati per i motori di ricerca.

Un'operazione in cui la qualità richiesta per rendere il testo efficace in relazione al suo scopo ha, per l'appunto, molto più a che fare con la prima caratteristica (le indicazioni formali con cui i motori di ricerca determinano la qualità dei contenuti che indicizzano e posizionano) che non con la seconda (ovvero apportare elementi di novità e differenziazione rispetto a un canone di riferimento).

In questo passaggio, a differenza di quanto sostengono le voci più apocalittiche o le visioni futurologiste, il ruolo dell'operatore umano non decade.  Piuttosto è il peso del suo intervento a spostarsi più sulla progettazione del processo che non sulla sua esecuzione e così il suo margine di innovazione e differenziazione rispetto al canone esistente.

È a questo punto che rientra, e in modo prepotente, tutto il discorso politico sull'automazione del lavoro, la necessità del reddito e la conseguente riflessione in termini di azione militante.

Ovvero nel riconoscere che quello a cui stiamo assistendo è il passaggio a un epoca in cui la produzione del contenuto passa da una dimensione manifatturiera a una dimensione automatizzata, uscendo dalla cornice del lavoro creativo e cognitivo a cui era stata consegnata fino a oggi, non senza evidenti ambiguità.

Un passaggio che, guardando al modo in cui si strutturano i cicli dell'hype, appare tutt'altro che compiuto.

Lo sviluppo delle intelligenze artificiali creative si trova infatti ancora in una fase espansiva, in cui molti brand concorrenti si contendono il mercato, alla ricerca di una formula in grado di definire uno standard per gli utenti.

Una volta trovato questo standard, il mercato opererà probabilmente la sua selezione, decretando la sopravvivenza del più forte, così com'è stato, tra il 2008 e il 2012, per il panorama delle piattaforme di social networking.

In questo scenario, recuperare e sviluppare un pensiero della macchina utile a elaborare strumenti per gestire questo passaggio in chiave critica e liberante risulta essere una necessità di vitale importanza.