Un esperimento con Midjourney

Un esperimento narrativo con Midjourney, l'intelligenza artificiale che crea immagini partendo da un comando di testo.

Un esperimento con Midjourney

Midjourney e DALL-E mini sono due intelligenze artificiali, progettate per generare immagini partendo da promt testuali. Partendo da una descrizione scritta, fornita dall'utente, questi software creano delle immagini in grado di illustrarla. Dopo aver provato per qualche tempo DALL-E mini, sono riuscito a ottenere un invito alla versione beta di Midjourney e ho usato le 25 query disponibili gratuitamente per illustrare un breve paragrafo di un capitolo del romanzo a cui sto lavorando da qualche anno. Ho scelto di usare Midjourney, perché la vicenda di cui tratta il capitolo e il modo in cui essa viene raccontata mi sembravano risuonare con lo stile onirico che caratterizza molte delle creazioni del software. Per realizzarle ho scelto sia di descrivere con frasi didascaliche alcuni passaggi del paragrafo, sia di fornire al software, come promt testuale, frasi prese direettamente dal testo a cui sto lavorando. Quello che segue è risultato del mio esperimento con Midjourney.

Parcheggiai una ventina di minuti dopo al limitare del bosco e mi inoltrai lungo il sentiero. Lo scricchiolio dei rami agitati dal vento rompeva il silenzio della notte. Le foglie secche crocchiavano sotto le scarpe.

Lo scricchiolio dei rami agitati dal vento rompeva il silenzio della notte. Le foglie secche crocchiavano sotto le scarpe. All’altezza del lago piccolo di Monticolo cominciai a salire. Il disco lunare si rifletteva nello specchio d’acqua nero e profondissimo come un pozzo. Assorbiva ogni stilla della bianca luce che attraversava il cosmo fino ad arrivare sulla terra. La trascinava giù, verso il suo fondo gelido e limaccioso, come i corpi dei bagnanti che spesso annegavano nelle acque del lago, traditi dai vortici che si aprivano in  superficie.

Alla fine della salita emersi dal fitto del bosco. Una spianata di rocce si apriva davanti ai miei occhi. Piccoli cumuli di pietra comunemente detti ometti spuntavano come funghi, qua e là sulle rocce. La loro presenza mi stupì. Di solito si usavano in montagna per indicare i sentieri, quando mancavano le indicazioni ufficiali.

In basso, la città era avvolta da un alone giallastro. La luce piombava dall’alto, scagliata a terra da potenti riflettori a specchio; correva lungo le piantane su cui erano inastati, allargando il suo cono fino a terra, dove si spiaccicava sull’asfalto che la rifletteva debolmente facendola percolare tutto intorno. Più piccole, localizzate, altre luci – bianche verdi gialle rosse – si accendevano ritmicamente nel buio della notte. La loro muta sinfonia scandiva la notte, cullando la città.

Il vento risaliva la collina, sibilando nel bosco e tra le crepe del porfido. Sotto la sua sferza gli alberi piegavano il capo, emettendo gemiti e lamenti. Tra una folata e l’altra mi parve di riconoscere il pianto di un neonato. Aubet, Cube e Quere erano lì. Levitavano nel vuoto, proprio oltre il bordo del dirupo. Spaventose apparizioni, sembrava emanassero dalla terra e dall’aria.

Avvertii un senso di minaccia. La parte rettile del mio cervello mi urlò di andarmene. Soffiai fuori l’aria dai polmoni, sforzando sul diaframma per riacquistare padronanza di me. Era giunto il momento di affrontarle.