"Per un pensiero che attraversi il disastro" su Singola
Recensione del libro "Chernobyl Herbarium. La vita dopo il disastro nucleare", pubblicata sulla rivista Singola.
Chernobyl Herbarium. La vita dopo il disastro nucleare è uno strano oggetto. Nelle sue pagine un filosofo, Michael Marder, e un'artista, Anaïs Tondeur, dialogano tra loro con parole e immagini intorno a un tema: come si sopravvive a un disastro di proprozioni inimmaginabili?
Al centro del loro conversare c'è quello che può essere definito come il disastro distintivo della contemporaneità: l'esplosione nucleare di Chernobyl.
Nasce così una riflessione che pone al lettore una domanda: quali sono le caratteristiche di un pensiero che attraversi il disastro?
A questa domanda, prendendo in mano di fili di cui il libro è composto, ho provato a dare una risposta nella recensione pubblicata dai tipi di Singola.
La scrittura congiunta di Tondeur e Mader - allo stesso tempo scrittura del visibile (le immagini) e dell’invisibile (il testo) - convoca dunque le piante, l'elemento vegetale che ci circonda, come un interlocutore che si (im)pone sullo stesso piano dell’uomo nel rivendicare i suoi diritti di fronte al disastro. Dice infatti Mader che “a posteriori, si scopre che io, come gli animali e altri esseri umani, come le piante e il suolo, ho ricevuto enormi quantità di radiazioni, io come tutti in maniera egualmente inconsapevole. Ero, come tanti ad Anapa e, più a nord-ovest, a Kiev e Minsk, una sorta di pianta o, per ricorrere a una metafora animalesca, una preda facile. A cosa è servita la nostra esposizione? Ha preparato il terreno a una solidarietà trans-umana? Il suo denominatore comune era la fisicità stessa, il semplice fatto di avere un’estensione fisica, aperta a tutto, incluse le radiazioni. Quest’apertura esprimeva la nostra vulnerabilità insondabile, la nostra capacità di difenderci da una minaccia sconosciuta e impercettibile ai sensi. Siamo ineluttabilmente impotenti e passivi di fronte alla radioattività”.