Vicolo cieco
Cosa ci dice la gestione della pandemia sull'identità dell'Alto Adige? Una riflessione sulla via sudtirolese all'emergenza.
Le gestione della pandemia in Sudtirolo è stata improntata, fin da subito, a un atteggiamento di superficialità e sottovalutazione del rischio.
La pretesa di imporre una "via sudtirolese" alla gestione della crisi, di fatto una forzatura, a volte al ribasso altre al rialzo, di tutte le misure e le tempistiche dettate dal governo centrale e operata in nome dell'autonomia di cui gode il territorio, è alla base dei fallimenti che l'attuale amministrazione non fa che inanellare da un anno a questa parte.
Fallimenti da cui emergono in modo sempre più chiaro anche le reti di corruzione, i clientelismi e le sudditanze psicologiche che innervano l'intero sistema Alto Adige/Südtirol.
L'elenco è lungo.
Va dagli skipass gratuiti offerti agli studenti nelle prime settimane di chiusura delle scuole a febbraio 2020, fino ai dati sul contagio che l'assessore Widmann ha negato di mostrare ai colleghi del consiglio provinciale in queste ultime, tristi settimane di farsa. In mezzo ci sono gli scaldacollo acquistati dal cugino dell'amico del parente e le forniture mediche e i DPI farlocchi che sono costati alla collettività un travaso di 25 milioni di euro verso un soggetto privato.
Un circo tragico, i cui attori si sono dimostrati più preoccupati e solleciti nell'assecondare le volontà dei diversi potentati economici e nell'aprire ridicoli e antistorici contenziosi con Roma che nel salvaguardare la salute collettiva.
Forse perché farlo avrebbe mostrato in modo aperto e senza equivoci come gli ultimi vent'anni di politiche sanitarie fossero dissennate e fallimentari.
Tutto questo ha prodotto momenti grotteschi, come l'imbarazzante diatriba sulle riaperture, dopo Natale. Quando l'intera amministrazione ha contestato al governo centrale la veridicità dei dati e, approfittando del vuoto di potere apertosi con la crisi, ha continuato a mantenere a giallo il livello di allerta e a fare finta che nulla fosse, per poi dichiarare, da un giorno all'altro, come per magia, che il territorio era passato al profondo rosso e affrettarsi per imporre le chiusure di bar e ristoranti quando era ormai evidente che non farle sarebbe costata agli imprenditori l'erogazione dei ristori, che tutti dicono essere magri e lenti ad arrivare ma, signora mia, son soldi e, quindi, mettiamoceli in saccocia.
Oppure il test di massa. Una dimostrazione di muscolare paternalismo che, hai detto cotica, sono venuti perfino dall'Austria a studiare come si fa, la cui (limitata) efficacia venne vanificata dall'assessore stesso ancora prima di avere luogo, nel momento in cui fu dichiarato il ritorno alla normalità nel giro di due o tre settimane.
Una fiducia quella, che per responsabilità collettiva abbiamo concesso, e che non andava tradita, ma che, oggi, con le terapie intensive di nuovo in affanno, appare davvero mal riposta.
Quello a cui abbiamo assistito negli ultimi 12 mesi non è solo il fallimento di un partito, quello che governa da così tanto tempo da essere ormai indistinguibile dalle istituzioni che prende in prestito ogni 5 anni. Quello a cui stiamo assistendo è il fallimento e la rovina di un'identità costruita su una pretesa di eccellenza ed eccezionalità che, alla prima, vera difficoltà, si sono mostrate per quello che sono veramente: spocchia, protervia e alterigia.
Da questo momento, l'unico modo sano per essere sudtirolesi sarà diventare nemici di noi stessi e il solo obiettivo smantellare l'impianto ideologico che puntella questa identità di paccottiglia che tanto ci piace difendere, facendo finta che il mondo inizi e finisca tra le chiuse di Salorno e il Brennero, tra il passo Resia e le Tre Cime di Lavaredo.
L'alternativa è la condanna eterna a questo imbarazzante vicolo cieco.