Sguardi divini sulla pandemia
Le immagini del deserto di piazza San Pietro a cui venerdì sera Papa Francesco s'è rivolto per concedere l'indulgenza plenaria resteranno nell'immaginario dell'epidemia insieme ai grafici, alle curve dei dati e alle foto delle città svuotate.
Non solo per la forza che sono state capaci di esprimere - forza misurabile dallo straordinario impatto che esse hanno avuto sui social, venendo condivise da migliaia di persone, credenti e non credenti - ma anche per il fatto che a produrle è stata la Chiesa Cattolica, un'istituzione religiosa che negli ultimi anni è stata spesso dipinta come scossa e attraversata da una profonda crisi d'identità.
Non uso il verbo produrre a caso. Quando si parla di un'istituzione che ha un rapporto quasi costitutivo con la produzione di immagini e le arti della rappresentazione, pensare che ogni istante del video trasmesso venerdì sera non fosse stato coreografato con attenzione significa sottovalutare la tradizione e il retaggio della Chiesa di Roma.
Quello a cui abbiamo assistito è stato, dunque, un grande momento di televisione che vale la pena di essere analizzato con attenzione, per provare a capire meglio qual è il discorso che ha provato a costruire. È ciò che proverò a fare qui.
Sono convinto che buona parte del senso dell'intera operazione stia nelle scelte di regia operate nei primi quindici minuti del video. Proviamo a vederle ne dettaglio, usando come fonte il video caricato sul canale YouTube di Repubblica.
La trasmissione inizia con un'immagine (Fig.1) in campo lungo e in profondità di campo. Francesco, ripreso di spalle, in piedi davanti a una sedia, sta iniziando il suo discorso. Davanti a lui, appiattita dalla focale contro la superficie dell'immagine, torreggia la mole dell'obelisco che sembra volersi schiantare contro l'esile contorno del Papa che lo fronteggia, impassibile. Sullo sfondo sparute persone sotto gli ombrelli si appoggiano alle transenne che chiudono la piazza, guardate da un'auto della polizia municipale.
L'uso della profondità di campo altera completamente le distanze tra gli elementi dell'immagine, che appaiono più vicini di quanto non siano in realtà. L'entità del vuoto che si apre di fronte allo sguardo del Papa viene celata. Non è Francesco che deve guidare il nostro sguardo su ciò che ha di fronte.
A chi appartiene dunque questo sguardo? Sarà compito delle immagini rispondere a questa domanda.
L'immagine successiva è un piano americano. Come l'anchorman di un telegiornale, il Papa pronuncia il suo discorso rivolto al pubblico. Lo sguardo che egli sostiene in questo momento è il nostro, quello di noi spettatori.
Il piano dura una decina di secondi, forse qualcosa di più, poi c'è un taglio. La camera ci presenta un altro elemento della scena.
È il Crocifisso di San Marcello, oggetto della venerazione dei romani. Una tradizione vuole che fu quest'oggetto, nel 1500, a salvare la città dalla peste. L'obiettivo avanza lentamente, stringendo il campo e avvicinandosi al viso del Cristo scolpito.
Ancora un taglio. L'immagine torna su Francesco che continua a parlare dal podio.
Il taglio successivo arriva qualche minuto dopo. Mentre il Papa chiede "perché avete paura? Non avete ancora fede?", la camera esegue una carrellata da destra a sinistra, inquadrando in primissimo piano, di lato, il volto del crocifisso (Fig.2), lasciando sul lato destro dell'inquadratura un ampio spazio.
Il pian successivo, idealmente ciò che il volto scolpito di Cristo sta guardando è un campo lungo sulla piazza vuota (Fig.3), il papa ripreso di spalle, sulla sinistra dell'immagine.
Gli elementi che lo costituiscono - il punto d'osservazione posto alle spalle del Papa, che occupa la parte sinistra dell'inquadratura, e la profondità di campo - fanno si che questo piano richiami quello con cui la trasmissione sì era aperta.
Ciò che l'immagine d'apertura lasciava aperta - l'attribuzione dello sguardo - viene ora specificata. È Cristo a guardare la piazza vuota da dietro le spalle di Francesco. Anch'egli è presente, oltre a noi spettatori, per osservare la concessione delle indulgenze plenarie.
Una presenza ribadita dopo circa tre minuti, quando campo lunghissimo (Fig.4) ci mostra ancora una volta la piazza. Posizionato sul lato destro dell'inquadratura, il crocifisso questa volta appare in primo piano, sulla sinistra dell'immagine, mentre il Papa, più lontano, è spostato sulla destra lungo la traiettoria della linea diagonale che parte dal volto del Cristo allungandosi verso la piazza.
Questa comincia perciò ad apparire come uno spazio costituito dal gioco di sguardi che la regia sta allestendo. Come abbiamo visto, uno è rappresentato dal nostro sguardo di spettatori che assiste al discorso del Papa; l'altro invece è lo sguardo di Cristo che, per effetto delle configurazioni formali delle diverse inquadrature, accoglie il nostro sguardo e risponde all'interpellazione che esprime.
C'è però un terzo sguardo che interviene a costituire la piazza come spazio simbolico. Esso si manifesta per la prima volta intorno al settimo minuto del video, circa un minuto dopo l'apparizione dello sguardo di Cristo (Fig.4).
Ad annunciarlo è un campo lunghissimo (Fig.5) che piove dall'alto sulla piazza deserta, inquadrando la scalinata che sale verso l'ingresso della basilica di San Pietro. Al centro dell'immagine c'è il Papa, circonfuso di luce e coperto dal baldacchino illuminato. L'illuminazione enfatizza il contrasto tra luce e ombra che domina l'inquadratura, reso ancora più drammatico dalla luce bluastra del crepuscolo che sommerge tutta la scena.
Si manifesta qui lo sguardo divino, che chiude la triangolazione con Cristo e lo spettatore. I primi due estremi della trinità appaiono così abbracciare il vuoto a cui si rivolge Papa Francesco durante il suo discorso. Costruita attraverso questi sguardi, piazza San Pietro diventa simbolo del mondo intero, svuotato di vita dal virus ma vegliato e cullato dall'espressione del divino che si materializza sottoforma di sguardo.
La rappresentazione raggiunge il culmine.
Da ora in avanti lo schema degli sguardi non avrà più alcuna variazione e si concentrerà solo nel rafforzare il ruolo del Papa come medium capace di mettere il consesso umano in comunicazione con l'emanazione del divino.
Ciò accade nella lunga sequenza che va dal minuto nove fino al minuto tredici quando, dopo aver reso omaggio alla Salus Populi Romani (l'icona bizantina di Maria conservata in Santa Maria Maggiore), Francesco bacia i piedi del crocifisso prima di varcare il portale della basilica e proseguire la liturgia.
L'alternanza tra il punto di vista di Cristo e quello divino, che si stringe progressivamente sulla figura del Papa serve proprio a sottolineare il ruolo di ponte tra l'umano e il divino che la rappresentazione assegna a Francesco.
Con questa trasmissione, di grande potenza, la Chiesa riesce, nel rapporto sociale mediato da immagini, a sopperire all'incapacità di creare immaginario di cui hanno sofferto il potere temporale e i suoi apparati di fronte all'emergere del virus.
Quale sarà l'effetto di questa dimostrazione di forza nel definire il ruolo della Chiesa nel mondo dopo la pandemia è una domanda a cui non possiamo ancora rispondere.