Anna Masera, public editor o private editor?
A cosa serve un public editor che, quando viene incalzato reagisce con stizza? Storia di uno scambio poco fruttuoso con la voce pubblica di un grande quotidiano italiano.
Edit: dopo la pubblicazione di questo post, grazie a Virginia Fiume che lo ha condiviso e mi ha invitato nel gruppo di Wolf, ho avuto un confronto diretto con Anna Masera e un gruppo di altri giornalisti e professionisti della comunicazione. Una discussione intensa, a tratti aspra, caratterizzata da tutti i tic della comunicazione digitale che come comunità di professionisti (mi ci includo con modestia) stigmatizziamo ma a cui facciamo fatica a sfuggire. Come gesto di buona volontà ho deciso di modificare il titolo del post, che riconosco strillato e poco adatto al dibattito, togliendo l’espressione epic fail. Non posso farlo dai tweet, ma confido basterà.
Sabato, se leggete i giornali penso lo sappiate più o meno tutti, il quartiere di Fuorigrotta a Napoli è stato devastato da orde di manifestanti violenti e black bloc calati da chissà dove per regalare a Salvini, in visita in Campania, un momento di gloria e la corona di martire della libertà d'espressione.
Sono stati brutti momenti, in cui la memoria non può che tornare agli Anni di Piombo. Anni che il Paese non vorrebbe più rivivere. Volano molotov, bruciano utilitarie di poveri cristi. Per un lungo, lunghissimo pomeriggio in città si vivono momenti di guerriglia. Cittadini e manifestanti pacifici sono ostaggio dei violenti e a perderci siamo tutti.
Ci perde Napoli. Ci perde l'Italia intera, che ancora una volta fa una figura da chiodi di fronte all'Europa grazie a questi professionisti della violenza.
Quello che avete appena letto potrebbe tranquillamente essere un riassunto della copertura mediatica della giornata di sabato da parte dei principali giornali italiani.
Per trovare una versione un po' meno truce, basterebbe farsi un giro tra i media di movimento. Dove circolano diversi video che smentiscono la ricostruzione diffusa dai giornali.
Intendiamoci, gli scontri ci sono stati e sono stati pure aspri. Ma di molotov e auto bruciate davvero non se ne sono viste. Basta dare un'occhiata ai video di Local Team (che pure confonde per molotov un paio di fumogeni) per accorgersi che quei dettagli sono ampiamente esagerati e fantasiosi, per non dire artefatti.
Unico tra i grandi quotidiani italiani, La Stampa, provvede a rettificare l'articolo sulla manifestazione. Dalle molotov si passa ai petardi, le auto bruciate diventano cassonetti.
L'articolo @LaStampa è stato corretto, a #Napoli non erano molotov e auto incendiate, ma petardi e cassonetti: https://t.co/lsEZDLe9tT
— Anna Masera (@annamasera) 13 marzo 2017
La rettifica è "lanciata" da Anna Masera, Public Editor del quotidiano, su Twitter. Sull'articolo è indicata, ma in piccolo, all'inizio e alla fine del testo. Non il massimo come leggibilità; all'estero segnalare gli edit sugli articoli è prassi comune, ma da noi anche solo riconoscere un errore e correggerlo è un gesto apprezzabile.
Meno apprezzabile quello che accade dopo. Diversi utenti infatti cominciano a chiedere spiegazioni a Masera. Com'è possibile che un quotidiano così importante possa prendere una svista così grande, operando in un ecosistema informativo contraddistinto da una grande disponibilità di fonti primarie?
La risposta di Masera lascia un po' l'amaro in bocca.
@zimok era un'informazione fonte ANSA purtroppo imprecisa, abbiamo potuto verificare solo dopo
— Anna Masera (@annamasera) 14 marzo 2017
Davvero un quotidiano importante e digitalmente alfabetizzato come La Stampa rilancia un'ANSA senza prima verificare il contenuto dell'agenzia?
Posso capire che anche a La Stampa non ci siano risorse per avere due inviati sul posto, uno a seguire il comizio di Salvini e l'altro al seguito del corteo. Ma non occorre essere Andy Carvin per fare una ricerca in rete e trovare diverse fonti dirette per verificare quel lancio di agenzia.
Sarebbe bastato cercare uno dei tanti streaming che documentavano il corteo e avere un minimo di conoscenza delle tattiche di piazza per accorgersi che molotov e auto bruciate erano un falso. Uno scrupolo che avrebbe risparmiato alla testata una brutta figura e le energie spese a spiegare una scelta discutibile.
È esattamente questo che, ieri sera, ho provato a chiedere a Masera.
Quindi @annamasera ci stai dicendo che nel 2017 prendete un ANSA, pubblicate e verificate dopo. E i social? Gli streaming? Il 2.0? @zimok
— El_Pinta (@El_Pinta) 14 marzo 2017
La risposta mi ha lasciato un po' interdetto.
In primo luogo non posso chiederlo agli altri, visto che nessun'altro quotidiano ha un public editor che dialoga sui social. In secondo luogo, "lo hanno fatto tutti" non mi pare una giustificazione valida. Se i principali quotidiani nazionali danno una notizia falsa, senza nemmeno verificarla, vuol dire che ci sono un problema sistemico e un deficit di professionalità piuttosto gravi.
E, come dice qualcuno in rete, viene il sospetto che questo tipo di errori siano voluti...fake news anyone?
@GuidoRusticoni @El_Pinta @annamasera @zimok anzi. Se "sbagliano" tutti uno è portato a pensare che lo "sbaglio" sia volontario
— Lev Petrovitch ☭ (@levpetrovitch) 15 marzo 2017
A questo punto i più attenti di voi avranno notato una cosa. Come mai in tutto questo post tutti i tweet sono incorporati direttamente, tranne uno?
La risposta è semplice, a un certo punto della discussione Anna Masera ha prima cancellato i suoi tweet (ecco perché la sua ultima risposta è riportata tramite uno screenshot che sono riuscito a fare appena in tempo) e poi ha deciso di bloccarmi.
Può essere che io sia stato fumantino, e magari anche un po' rompicoglioni nei miei tweet. Ma non ho mai trasceso nell'insulto o nell'attacco personale.
#epicfail di @annamasera le chiedi perché non fanno 2.0 journalism e lei svicola dicendo "lo fanno anche gli altri" https://t.co/NgXD6spLxr
— El_Pinta (@El_Pinta) 15 marzo 2017
Mi sono limitato a domandare come mai un quotidiano che partecipa e vince bandi per l'innovazione digitale commetta errori così grossolani, che si sarebbero potuti evitare usando semplici strumenti di giornalismo digitale a disposizione praticamente di chiunque.
A questo punto mi chiedo anche a cosa serva un public editor che, pungolato con un po' di salacità, reagisce prima svicolando dalla risposta, poi cancellando i propri tweet e, infine, bloccando l'interlocutore e qualsiasi ulteriore possibilità di dialogo.
Più che da public editor, questo mi pare un atteggiamento da private editor. O mi sbaglio?