Recensione a Figli della Stessa Rabbia, un noir di rivolta e di vendetta
Figli della stessa rabbia di Matteo di Giulio è un "noir di rivolta". Ambientato nella Milano dell'EXPO, il romanzo ha il pregio di immergersi tra le pieghe della crisi per restituire un affresco vivido e rabbioso dei dimenticati della nostra società.
Criticando la retorica della fuga dei cervelli da una prospettiva working class, Alberto Prunetti proponeva, in un articolo uscito su Lavoro Culturale, cinque "piccoli consigli preparatori a un soggiorno di lavoro/emigrazione/fuga".
1 Calca il suolo delle periferie delle metropoli, che sono i luoghi per cui vale oggi quello che Luciano Bianciardi diceva un tempo delle province, ovvero che è qui che i fenomeni di trasformazione sociale si colgono in maniera più lampante.
2 Chiediti perché gli europei sono definiti “ex patriate” e i migranti del cosiddetto terzo mondo vengono etichettati come “emigrati”, “poveracci in fuga dalla miseria”, etc etc. Non definirti “expatriate”, non considerarti in “diaspora” fino a quando qualcuno attorno a te stigmatizza i migranti. Siamo tutti parte di un esodo in corso nel divenire della specie umana. Non abboccare a chi divide tra erasmus vs migranti; locals vs foraigners; primo vs terzo mondo.
3 Leggi la realtà e il viaggio con uno sguardo obliquo. Passa dalle porte strette (lo so, è un po’ evangelico), diffida dalle scorciatoie. Dopo aver preso una scorciatoia ad alta velocità, chiediti cosa ti stai perdendo rispetto al cammino irto di una passeggiata nel lungovalle.
4 Entra nei panni degli altri ma conserva un po’ scetticismo libertario. Fai esercizio di relativismo eppure diffida dagli eccessi di culture, il culturalismo estremo è una nuova variante di razzismo.
5 Frequenta le subculture popolari, qualsiasi sia la tua latitudine. L’internazionalismo working class è l’unica globalizzazione che non fa vittime ma scopre compagni di strada, dalle Ande a Oxford, da Grosseto all’Himalaya.
Una lista a cui mi è capitato spesso di pensare, mentre avanzavo tra le pagine di Figli della stessa rabbia, un noir di rivolta (così recita il sottotitolo) scritto da Matteo Di Giulio per Agenzia X.
[full disclosure: Agenzia X, che ringrazio per avermi mandato il libro, è la casa editrice con cui ho pubblicato Stupidi Giocattoli di Legno. Libro di cui Matteo è editor. Questo non ha influenzato il mio giudizio sul suo lavoro, tanto meno la decisione di parlarne su queste pagine. Ma era giusto che voi lo sapeste]
Se non fosse che i due scritti sono usciti quasi contemporaneamente, verrebbe da pensare che il romanzo sia una perfetta esecuzione della partitura proposta dall'articolo.
Figli della stessa rabbia infatti è allo stesso tempo la storia di un soggiorno di lavoro, di un'emigrazione e di una fuga.
Il protagonista è un quarantenne italiano che vive da irregolare ad Amsterdam, città nella quale è fuggito diversi anni prima e dalla quale viene costretto a fuggire dopo che un controllo nel ristorante dove lavora come cameriere gli frutta un ordine di espulsione.
Ad attenderlo c'è la Milano infregolata dall'inaugurazione imminente dell'EXPO. Una città di cui ci vengono mostrate le pieghe, i risvolti e le zone su cui i grattacieli della speculazione edilizia gettano le loro ombre.
Sono le periferie, il cui suolo Prunetti ci invita a calcare, che fanno da sfondo alle vicende del romanzo. Luoghi in transizione, attraversati da un'umanità residua che produce comunque le sue eccedenze.
Qui s'incontrano la città che non esiste più con quella che potrebbe essere. Qui si producono le contraddizioni e le divisioni che attraversano il corpo della società. Prima fra tutte quella che tra autoctoni e stranieri. Una frattura che il protagonista ricompone nel segno della sua doppia estraneità.
«Sono novecentocinquanta euro netti al mese. Quaranta ore a settimana, altrettanto al mese di straordinari forfettari. Questi ultimi in nero, e niente buoni pasto. La pausa pranzo è di mezz'ora, ma se non ti va bene...»
«Per me è okay.»
«Ah, di solito gli italiani sono schizzinosi»
Non più autoctono e neppure straniero, sarà la classe a definire la sua appartenenza; e la classe che gli spetta è una sola, quella degli sfruttati. Figli della stessa rabbia, appunto, alla cui famiglia appartengono anche Carlos e la sorella.
Due immigrati peruviani che adottano il protagonista, aprendogli le porte della loro famiglia in nome della comune appartenenza al popolo nascosto nelle pieghe del lato in ombra della crisi globale.
E quando Carlos finisce brutalmente pestato ai margini degli scontri della May Day Parade del 2015, sarà in nome di questa solidarietà che il protagonista spingerà la sua vendetta fino alle estreme conseguenze.
Scandito da una rabbiosa colonna sonora punk, Figli della stessa rabbia è una storia di rivalsa di classe che usa le consuetudini del noir per raccontare i lati in ombra di quest'epoca, con la precisione che si richiederebbe a un reportage giornalistico.
Precariato, razzismo, prevaricazione non sono solo lo sfondo su cui ambientare una storia. Bensì i meccanismi da cui nasce una narrazione che prova a spiegarne le cause e i motivi, mentre mette in scena una vicenda che fino all'ultimo secondo coinvolge il lettore nella sua spirale di vendetta della cui buona riuscita si dubita costantemente fino all'ultima riga.
Come nella miglior tradizione del genere, Figli della stessa rabbia racconta il mondo che viviamo facendovi indossare le lenti attraverso cui lo osservano i dannati di questa società.
E se leggendolo non vi ribolle il sangue nelle vene dovreste chiedervi se, crescendo, non abbia finito per annacquarsi.