"Design antipatico" su The Towner
L'urbanistica è sempre stata tra i miei interessi e da qualche mese a questa parte ho iniziato a occuparmene con una certa assiduità. Il design della città e le architetture ostili sono al centro di una riflessione che ho iniziato su The Towner e continuerò al festival dell'architettura di Bolzano.
Ho iniziato a fare skate alla fine degli anni '90. La tavola a rotelle è stata il mezzo con cui ho imparato a muovermi nella città e a capire le problematiche relative al mio rapporto con le strutture urbane.
Lo skate mi ha lasciato un modo di attraversare e guardare gli spazi urbani che è allo stesso tempo personale e condiviso con altri. In questa visione il rapporto con la città è libero e creativo. È per questo che il fenomeno della architetture ostili mi ha sempre affascinato.
Pensare che, da spazio di sperimentazione e gioco con la propria identità e il proprio corpo, la città dovesse diventare spazio di controllo e grammatica dei comportamenti di chi la vive mi è sempre sembrato un controsenso. La città è il palcoscenico della vita in comune.
Così ho scelto proprio questo argomento per esordire su The Towner, il magazine di Moleskine dedicato alla cultura urbana. E questo pezzo sarà il cuore di una lezione che terrò al BAF - se non sapete cos'è il BAF scopritelo subito - intitolata La panchina di Camden e il futuro dell'umanità. Le architetture ostili in un mondo iperconnesso.
Se volete saperne di più venite ad ascoltarmi il 18 maggio. Per il momento accontentatevi di questa ricca anticipazione su The Towner
So che è camminando per queste strade in pieno cambiamento che potrei notarla per la prima volta, la Camden Bench. Di certo non è facile accorgersi immediatamente della sua presenza. Le superfici squadrate e affilate di questa panchina sembrano fatte apposta per far scivolare lo sguardo, facendolo perdere lungo l’intrico di possibili vie di fuga prospettiche che si dipartono da questo altare urbano, il cui profilo ricorda quello tagliente dei cacciabombardieri F 117 Nighthawk, i primi velivoli militari che con la loro linea spezzettata riuscivano a ingannare i radar. Stealth, invisibili, li chiamavano.