Perché pagare per i social non mi sembra un'idea percorribile?

Zeynep Tufekci ha scritto sul New York Times che se i social fossero a pagamento non sarebbero costretti a profilare gli utenti, invadendo la loro privacy. Qui provo a spiegare perché l'idea è importante, anche se non mi sembra percorribile

Perché pagare per i social non mi sembra un'idea percorribile?

Zeynep Tufekci è una sociologa turca che vive negli Stati Uniti e lavora sui media, in particolare su quelli digitali. È una voce intelligente e vale la pena di sentirla; ad ascoltarla s'impara sempre qualcosa anche quando non se ne condividono le opinioni.

Ieri Tufekci ha pubblicato un articolo sul New York Times che ha sollevato un ampio ventaglio di reazioni che vanno dal semplice "davvero interessante" a una serie di critiche variamente articolate. Il pezzo in questione s'intitola Mark Zuckerberg, Let Me Pay for Facebook e parte constatando che, almeno negli Stati Uniti, il controllo delle informazioni che produciamo in rete viene percepito come una questione d'importanza fondamentale da una vasta parte dell'opinione pubblica.

La proposta che Tufekci avanza, prendendo in considerazione questo dato, è semplice: pagare i social network per non essere profilati. O, detta con parole sue, introdurre

A seamless, secure micropayment system that spreads a few pennies at a time as we browse a social network

Dato che alla gratuità del servizio, ragiona la sociologa turca, corrisponde la trasformazione dell'utente in un bene che viene venduto agli inserzionisti sotto forma di dati e metadati, perché non invertire la logica? Passando da merce a cliente gli utenti guadagnerebbero il diritto alla privacy e alla riservatezza dei loro dati, che oggi rappresenta una preoccupazione concreta per molte persone, e i social network avrebbero comunque la possibilità di fare utili per finanziare la propria attività.

If even a quarter of Facebook’s 1.5 billion users were willing to pay $1 per month in return for not being tracked or targeted based on their data, that would yield more than $4 billion per year — surely a number worth considering.

Una visione, quella proposta da Tufekci, che sembra percorribile per una serie di ragioni che qui proverò a spiegare.

La primo motivo per cui penso che pagare per usare i social network non sia una soluzione percorribile lo esprime in un tweet la ricercatrice americana Kate Crawford.

Vincolare il diritto alla privacy dell'utente a una forma di pagamento significa alterare la neutralità e l'equità che dovrebbero essere i valori fondanti delle infrastrutture e dei servizi di rete. Ovvero creare una rete a due vie dove il diritto al controllo e all'integrità dei propri dati diventa un privilegio regolato dal censo. Senza contare che un sistema di micropagamenti di questo tipo finirebbe alla lunga per essere troppo oneroso, moltiplicando i costi per il numero di piattaforme regolarmente usate dagli utenti.

Fino a qualche anno fa la media degli account, per singolo utente, era di circa 1,5. Nel 2014 il Global Web Index stimava che questa cifra fosse aumentata a 5 account; e stiamo parlando solo di piattaforme social. Se per preservare la nostra privacy dovessimo abbonarci, oltre a Facebook, Instagram e Pinterest, anche ai servizi di Google, Amazon o qualsiasi altro player digitale che traccia i dati di navigazione gli oneri a nostro carico diventerebbero ben presto insostenibili.

Social Network a pagamento
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Inoltre bisognerebbe domandarsi quanto la preoccupazione per la privacy espressa dall'opinione pubblica americana, ovvero il dato da cui Tufekci parte per elaborare il suo ragionamento, si tradurrebbe in azione concreta. Detta in altri termini - e ammesso che si riuscisse a trovare un sistema di micropagamenti capace di non diventare rapidamente insostenibile - gli utenti sarebbero davvero disposti a pagare per accedere ai propri social network?

Tufekci pensa che gli utenti sarebbero disposti, in presenza di un sistema di pagamenti equo, a sostenere questa spesa per usufruire di questi servizi e cita, Netflix come esempio.

Millions of people pay for Netflix despite the fact that pirated copies of many movies are available free.

Tuttavia mi pare che il paragone non regga. Perché Netflix offre ai suoi utenti dei contenuti professionali, in un contesto pienamente legale. È per quello che gli utenti sono disposti a pagare per utilizzarlo.

La natura dei social generalisti è quella di abilitare le relazioni tra persone. Facebook di fatto non è altro che un metamedium, un medium che ne sintetizza altri e li fa convergere in un unico ambiente. Blog, chat, email, forum...Facebook è la versione basic concentrata di tutti questi strumenti. La domanda perciò è la seguente: i social quali contenuti offrono ai propri utenti?

C'è una parte interessante nel content-shock.Se tutti (più o meno consapevolmente) siamo di default editori, PR, autori...

Posted by Giuseppe Granieri on Giovedì 4 giugno 2015

Pensiero è la risposta di Granieri alla mia domanda. Il contenuto dei social network è il pensiero più o meno organizzato dei propri utenti e i social offrono principalmente un'architettura di distribuzione del nostro pensiero che può articolarsi in diverse forme e sostanze d'espressione (testo, immagine, video, audio), ma che vengono generalmente elaborate altrove o, meglio, che in altri contesti trovano strumenti più professionali per essere elaborate.

Dunque gli utenti sarebbero davvero disposti a pagare per accedere a un'architettura di distribuzione del loro pensiero, in cambio del controllo totale sulle informazioni da loro prodotte. Purtroppo non penso che sia così. Se la preoccupazione per la privacy fosse una leva così forte da attivare i comportamenti degli utenti non mi spiego perché un social come Ello, il cui obiettivo era quello di fornire un'infrastruttura di social networking libera da logiche di profilazione a scopi pubblicitari, non sia finora riuscito a sfondare la barriera degli early adopters e a imporsi al pubblico, a dispetto dell'elevata esposizione mediatica che ebbe al momento del lancio.

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Tuttavia, seppur poco percorribile per i motivi che ho provato a esporre, la visione di Tufekci non deve essere liquidata, ma piuttosto presa in considerazione per il discorso che apre più che per la sua praticabilità.

I tempi per un dibattito sulla gratuità della rete sembrano infatti maturi. Oggi sta diventando uso comune pagare per ottenere un servizio o un prodotto che fino a poco tempo fa erano considerati immateriali, quindi di scarso valore, come un ebook o l'accesso a un servizio di streaming. Questo significa che dobbiamo interrogarci ed eventualmente mettere in discussione l'ordine del discorso della gratuità della rete. Gratuito potrebbe essere l'accesso alla connettività, che libererebbe risorse per l'acquisto di contenuti professionali da parte degli utenti, e di certo dovrebbe esserlo lo scambio fra pari. Su tutto il resto non abbiamo che un unica certezza, il futuro della rete è ancora da costruire e in questa pièce noi utenti possiamo vestire i panni del protagonista.