Due modi per avere a che fare col futuro
Un brand è un organismo in evoluzione costante, che registra e reagisce ai mutamenti del contesto, adeguandosi di conseguenza. Progettarne l'identità è il gesto che dà vita al mondo semiotico di un brand e lo fa vivere al suo interno attraverso il racconto, sostenuto dalla creazione di contenuti.
È un lavoro che porta chi lo compie ad avere un a che fare con il futuro.
La strategia di marca è infatti la capacità di allineare pianificazione e gestione operativa, proiettandosi in avanti nel tempo per essere in grado di reagire tempestivamente alle contingenze.
Dunque, per poter avere un quadro chiaro dell'evoluzione che il cliente ha in mente per il progetto che il brand dovrà rappresentare, quando ne costruisco uno gli chiedo sempre lo sforzo di fissare quale traiettoria che ha in mente in base a una serie di milestone; il modello che uso prevede obiettivi immediati, a cinque, dieci e quindici anni, ma può essere adattato a specifiche contingenze.
Quello che ottengo attraverso questo esercizio è un "finale per la storia del brand che sto costruendo e un arco di trasformazione per il mondo semiotico che emana dal brand stesso.
La comunicazione diventerà a quel punto il modo in cui proverò a raccontarne la storia con l'obiettivo di indirizzarne la traiettoria verso il finale desiderato e definito dal cliente.
Definire un finale è importante. Non a caso è uno dei consigli di tecnica narrativa più comuni ed efficaci su cui si può contare quando si pratica questa disciplina.
Come notava Pasolini nella sua celebre riflessione sulla morte come atto di montaggio cinematografico, è la fine a dare un senso a cosa accade nel mezzo e al principio di una storia.
Per definire questo processo potremmo usare anche un concetto - backcasting - in cui mi sono imbattuto per caso qualche tempo fa.
Non ricordo esattamente dove io lo abbia incontrato per la prima volta, ma se dovessi descriverlo lo descriverei come l’effetto che un evento proiettato nel futuro esercita, retroattivamente, sul modo in cui ci comportiamo nel presente.
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Il backcasting rappresenta perciò il rovescio del forecasting, ovvero l’atto di collocarsi nel presente provando a leggerne le tendenze per fare previsioni su ciò che verrà nel futuro.
Se hai letto Memoria del passato della Terra, la trilogia di romanzi di Liu Cixin, probabilmente hai già un’idea, magari vaga, di cosa sia il backcasting.
I tre libri dello scrittore cinese raccontano il modo in cui l'umanità reagisce nel presente a un evento proveniente dal futuro e di come questo evento ne curva la traiettorie e lo sviluppo.
Il backcasting assomiglia perciò una postura che adottiamo nei confronti del tempo e del suo scorrere, in base alla quale possiamo definire il nostro modo di rapportarci a esso.
Porsi in posizione di backcasting significa darsi la possibilità di orientare i propri comportamenti alla luce dell’evento o dell’obiettivo che ho proiettato nel futuro.
Diversamente, porsi in una dimensione di forecasting significa impegnarsi per prevedere, attraverso la lettura dei segnali che riesco a captare, il modo in cui gli eventi potranno dispiegarsi, aspettando di vedere se essi imboccheranno la direzione verso cui ho provato a impostarli.
La strategia come pianificazione e gestione dell'outcome è una forma di backcasting. La strategia come algoritmo per l'obiettivo è una forma di forecasting.
La differenza tra le due posture è che la prima (backcasting) è soprattutto attiva, mentre la seconda (forecasting) è sopratutto passiva, pur essendo entrambe reattive per natura.
Riconoscere questa differenza non implica dunque una gerarchia di valore tra le due posture, ma le definisce solo in termini qualitativi.
Avere chiara questa differenza di approccio è solo un modo per facilitare la scelta tra l'uno o altro, a seconda del contesto o della situazione in cui si trova a doverli applicare o allo scopo per cui si decide di utilizzarli.
Il futuro, dopotutto, è qualcosa di estremamente malleabile e disponibile alla nostra azione.
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