Spore #16 - bar Karin
La bolla sonora galleggia saturando lo spazio, diffusa nell'etere dalle frequenze di una stazione radio oldies tedesca che trasmette una selezione di pezzi rock folk. Per un istante esito sulla soglia, indeciso se entrare. Poi mi risolvo e calco il pavimento veneziano. La parte del locale prospiciente alle grandi vetrate è avvolta nella luce grigiastra di un mattino di metà gennaio. Poco più indietro, invece, alle spalle del pilastro che troneggia al centro della sala, i tavoli emergono da una penombra che taglia drammaticamente in due lo spazio. Un cartello stampato appiccicato alla colonna avverte che i tavoli ricoperti dal panno verde sono riservati ai giocatori di carte. Un altro cartello, scritto a mano e appeso alla parete di fondo, avvisa che ai tavoli da gioco non sono ammessi spettatori. Alle narici pizzica un sentore di fumo, come se in quel locale, di tanto in tanto, qualcuno accendesse ancora una sigaretta, noncurante del divieto in vigore ormai da anni. "Buongiorno signora, mi fa un caffè", chiedo prendendo un giornale dal mucchio e sedendomi a uno dei tavolini liberi dal panno. Dalle pareti mi scruta lo sguardo di quello che sembra essere un giovane Luis Durnwalder la cui foto è appesa alla parete tra il poster di una Ferrari Testarossa che emerge fiammante dal nero profondo della scenografia e quello del trottatore Varenne, immortalato mentre emerge da una curva, superando un nugolo di rivali. A quell'ora del mattino sono l'unico avventore del locale. Congelato all'interno di quel cristallo in cui il tempo oscilla in modo indefinito tra gli anni '60 e gli anni '80 del Novecento sorseggio il mio caffè. È incredibilmente migliore della media dei caffè che servono a Bolzano.
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