Con lo spazio e con il tempo

Profonde e sostanziali differenze attraversano le pratiche artistiche della scrittura e del montaggio. Chiunque scriva, ne sono convinto, dovrebbe, almeno una volta nella vita, confrontarsi con la pratica del montaggio audio e video.

Sono giunto a questa convinzione grazie all'esperienza diretta. Nel corso di quest'anno ho curato infatti la direzione artistica di Anatomia Urbana, un video che esplora il senso di appartenenza alla mia città e verrà presentato per la prima volta a novembre nel corso di Longing for belonging, un programma di eventi ideato dal gruppo di lavoro di Museion Art Club Forum di cui faccio parte.

In queste brevi note, incomplete e impressioniste, desidero perciò elaborare alcune delle idee che ho potuto formarmi grazie a questa esperienza di lavoro.

Prima di farlo è opportuno specificare che, pur essendo stato presente praticamente in ogni sua singola fase, a eseguire il gesto del montaggio è stato Armin Ferrari, che di Anatomia Urbana è anche il regista.

Anatomia urbana, fotogramma.

La prima differenza è dunque di natura corporea.

Quando scrivo le dita battono sulla tastiera e il resto del corpo ne asseconda i ritmi, venendo rapidamente risucchiato nel flusso creativo.

Montando, invece, sono rimasto più distaccato, meno coinvolto e non solo perché mi sono limitato ad osservare qualcuno che eseguiva l'azione al posto mio, ma anche perché il montaggio ha un procedere più compassato rispetto alla scrittura, non cattura attraverso il ritmo ed esige sempre una forma di distacco.

Se dovessi fare un paragone, direi che il montaggio corrisponde alla fase di design narrativo di un romanzo o di un racconto. Entrambe le pratiche sono pratiche narrative e, per questa ragione, entrambe devono confrontarsi con l'esigenza di disegnare lo sviluppo drammaturgico dei fatti o delle idee o dei concetti che desiderano raccontare.

Per farlo però utilizzano sostanze espressive diverse.

Chi scrive si confronta infatti con lo spazio, quello vuoto della pagina bianca. A mano a mano che procede, lo scrittore riempie questo spazio organizzando e formattando le parole per la lettura.

Chi monta si confronta invece con la durata, quella di frammenti di immagini e suoni. Prendendoli uno a uno, il montatore usa questi frammenti per orchestrare il flusso della visione.

Anatomia urbana, fotogramma.

Un secondo in più o in meno, nel taglio di un frammento, può fare tutta la differenza del mondo perché, nel passaggio tra un'immagine e l'altra, ogni elemento deve raccordarsi in modo da creare armonia o dissonanza.

Il montaggio, è la lezione di Ėjzenštejn a dircelo, non opera soltanto in modo orizzontale, organizzando lungo la linea del tempo il flusso dei suoi frammenti. Esso opera anche verticalmente, accordando tra loro anche gli elementi che compongono ogni singolo frammento.

Colore, suono, musica, movimento.

Ogni elemento va collegato agli altri all'interno dello stesso frammento e rispetto a ogni altro frammento precedente o successivo, creando una rete di relazioni che è sempre presente alla percezione dello spettatore e, allo stesso tempo, evolve davanti ai suoi occhi.

Per quanto possa avvicinarsi a un simile risultato, la scrittura non può rompere con la natura sequenziale che le deriva dall'essere un gesto che si dispiega nello spazio.

Ma qui non si tratta di una questione di quantità, dunque di gerarchie tra forme di espressione, bensì di una questione di qualità, che sottolinea quanto la scrittura differisca dal montaggio in base al modo in cui dà forma all'espressione.

Se il montaggio offre a chi lo compie un'esperienza più ricca in termini di elementi da accordare, va notato anche che esso è limitato dalla natura immodificabile delle unità con cui opera.

Mentre scrivendo è sempre possibile cancellare e riscrivere, permutando all'infinito soluzioni diverse, quando si monta si è limitati a operare con e sul materiale che si ha registrato in precedenza.

Non è possibile, se non artificialmente, ricostruire una scena per filmarla una seconda volta e correggere così un dettaglio di cui, a posteriori, si è notato un difetto. Tale difetto va infatti abbracciato e accettato come parte del gioco.

La scrittura promette e permette un controllo a cui il montaggio chiede di abdicare, favorendo la gestione dell'esistente, l'accettazione del caso, fortuito o spiacevole che sia.

Venendo dalla scrittura di un romanzo, aver potuto toccare con mano la distanza tra il controllo permesso dalla scrittura e la gestione imposta dal lavoro di montaggio ha acquisito una qualità che potrei definire "terapeutica", nel senso che è stata liberatoria e, al tempo stesso, profondamente formativa rispetto alle mie pratiche creative e artistiche.

Come potrò utilizzare, in futuro, questa consapevolezza è una domanda a cui devo ancora trovare risposta.