(ri)velato #1 - Tutti insieme appassionatamente
Posso non essere sempre d'accordo con Michil Costa e la sua visione del futuro del turismo in Alto Adige, ma non posso contraddirlo quando dice che "l'uso di immagini stereotipate, che dipingono il nostro territorio come spazio incontaminato quindi, non produce altro che falsi miti, forse ottimi cliché per vendere, ma non per trasmettere quello che siamo o vorremmo essere."
Nel mio piccolo, ogni volta che ho scritto di Alto Adige, l'ho fatto per provare a rivendicare uno spazio di autonomia dal potere totalizzante dell'immaginario pubblicitario e dall'infrastruttura che lo sostiene. Un spazio al cui interno provare a costruire le alternative di cui abbiamo bisogno per sopravvivere, perché, rubo ancora a Costa le parole, "non ci rendiamo conto dell'influenza che il turismo ha sull'identità delle comunità locali, di come una vera ospitalità o, al contrario, un commercio turistico ci plasmi".
Senza narrazioni in grado di creare altre immagini della nostra terra la sola identità con cui possiamo negoziare è quella costruita ad arte per vendere la nostra terra ai turisti. Un'identità inamovibile che è non soltanto una teoria di falsi miti, ma è anche il calco di un passato che ci ostiniamo a non voler far passare.
Le radici degli stereotipi da cui la comunicazione pubblicitaria contemporanea attinge a piene mani quando deve raccontare l'Alto Adige affondano nel tempo almeno fino all'Ottocento. È allora che prende corpo l'immagine della montagna come spazio incontaminato, al tempo stesso opposto e complementare alla città di cui era la proiezione, in cui paesaggio e modo di vivere si compenetrano in una sintesi estetica e culturale dalla forte base morale.
Un sentimento analogo permea le immagini di Tutti insieme appassionatamente (The sound of music), il musical del 1965 da cui ho tratto la copertina del romanzo.
Il velo che gli dà il titolo altro non è che la sopravvivenza di questo sentimento e dell'immaginario che lo esprime. La cui essenza si esprime alla perfezione in The Hills are alive, uno dei numeri più celebri del film.
La sequenza si apre col volo leggiadro della macchina da presa che dal totale del paesaggio stringe progressivamente verso Julie Andrews per poi staccare in raccordo col movimento circolare con cui l'attrice abbraccia la bellezza che la circonda. Le colline sono vive - così canta Maria, il personaggio interpretato dall'attrice americana - col suono della musica, con le canzoni che hanno cantato per mille anni.
Una comunione mistica col paesaggio in cui il cuore dell'uomo si nutre della bellezza secolare della natura, che lo riempie e lo redime dai suoi peccati. Un velo appunto, che cala dall'alto a sovradeterminarci tutte e tutti con la sua ideologia di purezza e rende sempre più urgente e necessaria la costruzione di immagini e immaginari alternative con cui raccontare le nostre vite e negoziare le nostre identità.
Il velo è il contributo che provo a portare a questa impresa.