Soft KPIs

Le conversioni sono l'unica cosa che importa davvero al cliente. È una frase bellissima. Rotonda. Le conversioni solo l'unica cosa che importa davvero al cliente. È una frase che semplifica. C'è una cosa, una soltano, che importa davvero al cliente: le conversioni.

Se lavori nel marketing questa frase l'hai letta, sentita o vista almeno un milione di volte in un milione di video, blog, corsi o podcast.

Ogni minuto di ogni giorno vengono inviate 210 milioni di e-mail, guardate 97.200 ore di contenuti su Netflix, eseguite 4.2 milioni di ricerche su Google (LOCALiQ) ma al cliente importa davvero una cosa, e una soltanto, le conversioni.

Chi scrive o pronuncia frasi di questo tenore, di solito che cosa sono le conversioni tende a non spiegarlo.

Conversione è una parola che può voler dire molte cose. Se il tuo obiettivo è generare traffico su un sito, una visita è una conversione.

Che quella visita duri più o meno di un millesimo di secondo, se sia stata utile per te che possiedi il sito o significativa per chi l'ha compiuta, se abbia avuto un effetto sulla tua attività, sono tutti dettagli che non interessano se il tuo obiettivo è generare traffico su un sito.

Insomma, se le guardi con più attenzione, le conversioni sono una questione di obiettivi; di obiettivi che ci poniamo quando prendiamo una decisione o facciamo una certa azione, o diamo vita a un'iniziativa.

Quindi potremmo riformulare la frase con cui si apre questo post, dicendo che gli obiettivi sono l'unica cosa che importa davvero al cliente. E qui la cosa si fa complicata, perché capire quali sono gli obiettivi significativi è una delle parti più difficili di un progetto.

Ma non è quello di cui voglio parlare.

Mi interessa di più ciò che intende davvero chi scrive o afferma che le conversioni sono l'unica cosa che importi a un cliente, ovvero le vendite.

Quando leggi frasi come "ciò che importa davvero al cliente sono le conversioni" dovresti allenarti a sostituire automaticamente la parola "vendite" alla parola "conversioni". Perché è di vendite che sta parlando chi scrive o dice frasi del genere.

Quindi stai dicendo che le conversioni, anzi le vendite non sono importanti?

No, le vendite sono importanti e lo sono anche le conversioni. Nel marketing sono la cosa più importante? Probabilmente sì. O almeno sono una delle cose più importanti, ma non è detto che siano la sola cosa che importi davvero a un cliente.

Quando lavori sul campo e ti confronti con situazioni concrete - che poi significa quando entri in contatto e interagisci con un'altra persona che chiami cliente, perché lui acquista da te la tua conoscenza e il tuo saper fare - ti accorgi che le cose non sono sempre così lineari come sembrano.

I clienti sono persone, e le persone non si comporatano mai come la teoria vorrebbe che facessero. Tanto quanto sono irrazionali i consumatori, lo sono anche i clienti. Entrambi in fondo sono persone, e le persone sono guidate, sempre, da motivazioni intime, profonde e, spesso, difficili da sondare.

Negli ultimi dieci anni ho lavorato quasi ogni giorno a contatto con persone che erano clienti miei o della mia organizzazione. Facendolo mi sono trovato molto più di frequente di quanto mi aspettassi in situazioni in cui a importare davvero ai miei clienti erano cose molto diverse dalle conversioni e dalle vendite.

Il bisogno di sentirsi importanti e riconosciuti dai propri pari; il desiderio di essere i primi a intraprendere una strada, anche se dovesse rivelarsi impervia o sbagliata; la voglia di accordare l'immagine pubblica della propria azienda all'idea che il cliente si è fatta di essa; saper esprimere con parole e immagini qualcosa che il cliente vorrebbe raccontare, ma non è in grado di farlo.

Propongo di chiamare soft KPIs questo insieme di idiosincrasie, piccoli e grandi vezzi, sfizi e sfumature della personalità.

Ho scelta questa formula per ricalcare la differenza tra competenze dure (hard skills) e competenze morbide (soft skills), dove le prime rappresentano le nostre conoscenze e il nostro saper fare e le seconde il modo in cui ci comportiamo a seconda delle situazioni e in diversi contesti.

I Soft KPIs andrebbero perciò pensati come tutti quegli indicatori di performance che attengono alla sfera personale e intima del cliente. Sono i sogni, i desideri e i bisogni che lo caratterizzano come persona e non come imprenditore o manager.

Nella mia esperienza di strategist mi sono accorto che questi soft KPIs sono altrettanto importanti degli hard KPIs, ovvero conversioni e vendite. I primi stanno in relazione ai secondi, come la figura sta in relazione allo sfondo nella psicologia della Gestalt: vendite e conversioni rappresentanto la costante di un progetto di strategia di marketing e comunicazione, mentre idiosincresie, desideri e bisogni inespressi sono le variabili che emergono da quello sfondo.

Uno dei compiti che spettano a un consulente indipendente è perciò quello di imparare a riconoscere e gestire i soft KPIs nel contesto in cui si trova a operare.

Ho maturato questa convinzione partendo dalla lettura di Navigating Power & Status un capitolo del libro The Strategic Indpendent di Tom Critchlow.

Per il consulente indipendente, questa è la mia opinione, è tanto importante cogliere le relazioni di potere all'interno di un'organizzazione, quanto le idiosincrasie personali dei soggetti con cui ha a che fare.

La costruzione di una relazione efficace con il cliente passa anche dalla gestione delle sue aspettative inespresse o (all'apparenza) irrazionali. È solo imparando a riconoscere e a cogliere tali segnali che è possibile definire i soft KPIs (che sono diversi da caso a caso) e convertirli.