È il momento di farci da parte
Due degli artisti che ho ascoltato di più nelle ultime settimane sono adolescenti. Si chiamano J Lord e Neima Ezza. Di loro non so molto. Sono entrambi rapper, emergenti e, come si dice adesso, italiani di seconda generazione. Il primo, J Lord, è napoletano. Il secondo, Neima Ezza, è milanese.
Se dovessi dire cosa li accomuna direi che, da una parte, tutti e due hanno qualcosa che di loro mi trasmette l'idea che siano dei bravi ragazzi, quasi dei "secchioni", se mi passate il termine. Nel caso di Neima sono gli occhiali da vista. In quello di J Lord la deliziosa "r" blesa del suo cantato dialettale, che mi suscita l'immagine di un timido impiegato napoletano da commedia all'italiana. Dall'altra parte, ed è la cosa più importante, i testi di entrambi sono incredibilmente consapevoli o conscious, come direbbero i critici musicali più colti.
"Ccà tutte quant fanno “bang” si pe’ denare,/dimme che gusto ce truove doppo ca lle ‘ccise./Fanno a malavit, fotteno a muglier in giro./Uapp do quartier so schiave do superiore". Sono le barre che usa J Lord, in una delle strofe che apre un pezzo intitolato Gangster, per raccontarci un frammento di vita di strada, scegliendo un registro distante anni luce da quello apologetico con cui molto del rap di questi ultimi (e non solo) anni ha scelto per raccontare le stesse situazioni.
Un registro analogo sceglie anche Neima Ezza che, tanto nel documentario che accompagna l'uscita del suo primo EP quanto nel disco stesso, sottolinea più volte quanto la vita di strada sia tutto tranne che attraente per chi in mezzo alla strada è nato e cresciuto.
Più ascolto i loro brani pubblicati in giro sulle piattaforme - non sono molti a dire la verità - più mi torna in mente Passare il microfono agli altri, il bel saggio scritto da Claudia Durastanti per Internazionale quest'estate.
In quel pezzo Durastanti rifletteva, inquadrandole da una prospettiva di potere, sulle preoccupazioni sollevate nel campo progressista dalla cosiddetta cancel culture. Queste preoccupazioni, che hanno trovato forma in una lettera firmata da 153 intellettuali e pubblicata sulla rivista Harper's, sono, nell'analisi che ne fa Durastanti,
"tensioni suscitate da [...] microassestamenti in cui pesano anche bilanci editoriali, valutazioni sulla composizione demografica del proprio pubblico e il potere d’acquisto dei consumatori-attivisti".
Perché il punto è, dice ancora Durastanti, che
la festa è piena di nuovi invitati. Le sedie iniziano a scarseggiare, qualcuno è costretto a restare in piedi, e se i nuovi arrivati sono più divertenti, entusiasti e destinati ad attirare l’attenzione, forse più che di censura si deve parlare di questo: dell’aggressività gioiosa del nuovo arrivato rispetto all’imbarazzo di chi a quella festa c’è sempre andato.
In quest'immagine la musica e le parole di J Lord e Neima Ezza si rispecchiano alla perfezione, suscitando in me che le ascolto un senso di meraviglia e rispetto.
Meraviglia, perché ho la sensazione di star assistendo all'emergere di due voci capaci di raccontare una generazione che non avrei altro modo di avvicinare, e capire.
Rispetto, perché ascoltandoli mi convinco che il mio (minuscolo) ruolo di intelletuale mi imponga, in questo momento, di farmi da parte e lasciar loro il microfono, di essere loro complice, di farmi guidare da loro alla scoperta del mondo, di imparare da loro ed essere disponibile a fare insieme a loro le cose necessarie.
C'è speranza in queste nuove generazioni, e saggezza, che dobbiamo imparare ad ascoltare per dar loro lo spazio che meritano e di cui hanno bisogno.