Ride the Lightning
È la rapidità con cui l’impossibile diventa non solo possibile, bensì reale che più mi stupisce delle convulsioni che scuotono il mondo da un anno e mezzo a questa parte.
Nella notte tra lunedì e martedì, un gruppo di rivoltosi ha innalzato barricate lungo cinque strade del centro di Seattle. Le ha difese dalle cariche della polizia che, alla fine degli scontri, è stata costretta a ritirarsi. L’edificio che ospita il distretto orientale è stato abbandonato e sei isolati sono stati occupati, liberati e dichiarati zona autonoma.
All’interno del perimetro la vita viene riorganizzata. Gli occupanti provvedono ai servizi essenziali - cibo, salute, sicurezza - per inventarli nuovamente fuori dal recinto del potere e dimostrare che si può fare. Possiamo contendere al potere il controllo del territorio. Possiamo riorganizzarlo in base a un principio che articoli i rapporti tra le persone sulla base dell’idea che ogni potere debba essere destituito della sua legittimità e delle strutture con cui la esercita.
Probabilmente non è la cosa più importante tra tutte quelle che stanno accadendo oltreoceano, ma è una di quelle che più mi ha colpito.
Lo ha fatto perché dimostra che tutto questo non è solo possibile, è possibile farlo con una velocità difficile da immaginare per chi, come me, è nato nel 1983 e cresciuto immerso nell’idea che la Storia era finita, la musica migliore già suonata. Alla mia e alle generazioni adiacenti alla mia è stato ripetuto, allo sfinimento, che per noi non sarebbe esistito altro orizzonte possibile che la ripetizione infinita di qualcosa di già detto, visto e fatto e di cui, in ogni caso, non avremmo potuto fare esperienza.
Accontentatevi e fate a patti con l’esistente. Questo l’ordine che ci è stato trasmesso. L’ordine entro cui abbiamo provato a sopravvivere. Poi a scuoterci è arrivato questo biennio.
A illuminarsi per prima alla luce dei fuochi dell’insurrezione è stata la Francia, paese della rivoluzione per eccellenza, attraversata per mesi dalle manifestazioni dei Gilet Gialli. Un movimento che ha ridefinito l’idea stessa di radicalità, mostrando come nuovi soggetti politici possano nascere al di fuori delle tradizionali mediazioni.
Quindi è stata la volta di Hong Kong. Nella futuristica città-stato, posta ai margini del gigante cinese e della sua distopia di controllo sociale, l’insurrezione è scoppiata violentissima, mostrando al mondo come il confronto di piazza può essere ridefinito in un’era di repressione tecnologicamente avanzata.
Qui la composizione è apparsa più eterogenea rispetto ad altre realtà (BLM e l'esperienza cilena a cui accennerò più avanti). Ciononostante la rivendicazione nei confronti del potere ha molto in comune con le altre esperienze del periodo.
Poi la convulsione ha attraversato il Cile. Anche il paese sacrificato per evocare il demone neoliberista è esploso, mettendo al centro delle proprie rivendicazioni questioni materiali, pratiche, concrete. Per dimostrare ancora una volta alla falsa coscienza borghese che le masse non hanno bisogno di studiare la teoria per individuare e rivendicare i loro bisogni.
Ultimi ma non ultimi - focolai d’insurrezione hanno infiammato anche Libano e Iraq - gli Stati Uniti.
Nel paese, dilaniato da violentissime guerre culturali, l’innesco è stato l’omicidio di un uomo, George Floyd, morto soffocato da un poliziotto che gli ha tenuto premuto il ginocchio sul collo per otto, infiniti minuti.
Colpevole di essere nero e disoccupato, Floyd ha esalato il suo ultimo respiro sotto l’occhio degli smartphone che hanno registrato il razzismo in azione, diffondendo all’istante il contagio della violenza. L’intero paese ha reagito, con rabbia, colpendo i simboli del privilegio bianco.
“Ci sono decenni in cui non succede nulla, e ci sono settimane in cui accadono decenni”, diceva Lenin. Il 2019 e il 2020 sono il rock ‘n roll della mia generazione, sono il nostro biennio rosso, sono la dimostrazione che non c’è peccato più grave del pessimismo militante. Se c’è una lezione che dovremmo imparare da questi giorni convulsi credo sia questa: l’indicibile può essere detto, l’imponderabile può essere pensato, l’impossibile può diventare realtà.
Una possibilità che dobbiamo tener presente anche nel nostro paese. Qui il lavoro e la salute paiono configurarsi come due dei potenziali terreni su cui accendere lo scontro.
Alla condiscendenza dei sindacati confederali nei confronti di Confindustria - che a quest'ultima ha dato un ulteriore salvacondotto per alzare la posta e il livello dello scontro di classe - ha fatto da contraltare una risposta dal basso che ha visto i lavoratori di alcuni dei comparti chiave nella catena di produzione e trasmissione del valore (agricoltura e logistica) auto organizzare una risposta dal basso determinata, combattiva e consapevole.
Una consapevolezza che sembra trovare una sua timida strada anche in settori come la gestione dell'infrastruttura e la produzione di informazione digitale, la cui natura alienata sembra ormai sempre più difficile nascondere dietro il paravento della creatività. O come il settore della cura e dell'assistenza alle persone, ambito di cui l'emergenza sanitaria ha mostrato le crepe dovute alle dinamiche di definanziamento e privatizzazione che l'hanno caratterizzato negli ultimi decenni.
Per capire quanto, su quest'ultimo punto in particolare, la pandemia abbia aperto spiragli di azione potenziale basterebbe mettersi in ascolto delle voci che provengono dai territori dve l'emergenza è stata gestita nei modi più sciatti e grotteschi.
Dovessi scommettere dove è più probabile che possa scoppiare un'insurrezione oggi, in Italia, direi la Val Seriana. E se la velocità con cui si accendono, oggi, le insurrezioni è quella a cui questo biennio ci ha abituati, il compito che ci spetta è farci trovare pronti a cavalcare il fulmine.