"Possiamo usare il Tai Chi per disinnescare la guerra culturale sui social?" su Che Fare
Che Fare ospita la chiusura di un trittico di riflessioni dedicate al nostro modo di vivere gli spazi digitali. Una modesta proposta per ripensare il nostro modo di vivere i conflitti culturali di questo tempo.
Il clima di costante conflitto culturale che domina l'orizzonte negli spazi culturali ha pesanti conseguenze in termini di neurosostenibilità. Come fare per sottrarsi ai gravami di questo lavoro cognitivo senza per questo rinunciare all'impegno?
Ho provato a rispondere alla domanda partendo dall'analisi di un saggio dedicato alla cartografia delle fazioni in lotta nelle nuove guerre culturali, trovando nella pratica del Tai Chi una possibile via di fuga da elaborare.
Più partecipiamo al gioco performativo dei social, più diventiamo attori dei conflitti culturali in corso. Essere consapevoli di quali sono le nostre condizioni di esistenza all’interno del dispositivo dovrebbe toglierci qualsiasi alibi o falso moralismo.
Il momento in cui decidiamo di entrare nel cono di illuminazione che ci rende visibili agli altri come soggetto dall’identità digitalmente costruita, quello è il momento in cui costruiamo la gogna all’interno di cui esponiamo noi stessi e che, al tempo stesso, ci permette di cominciare a competere per l’attenzione e i segnali con cui gli altri partecipanti alla rappresentazione certificano il successo o il fallimento della nostra opera.