4 domande a Vanni Santoni a proposito di Muro di Casse
Prima del reading e della presentazione bolzanina del suo nuovo libro, Muro di casse, ho fatto quattro domande a Vanni Santoni che spaziano dalla scrittura ai nomi delle tribe tekno.
Flavio Pintarelli: premessa, a me Muro di casse con il suo intreccio di flussi e punti di vista in soggettiva ha ricordato subito il Philopat di Costretti a Sanguinare. Perciò ti chiedo come e perché hai scelto una scrittura di flusso? Pensi che questo tipo di scrittura abbia qualcosa a che fare con la possibilità di raccontare le sotto/contro culture, come se l'unico sguardo sincero possibile fosse dall'interno?
Vanni Santoni: credo che lo stile di Muro di casse, per quanto nato in modo spontaneo, risponda a specifiche esigenze. Il largo uso del flusso – di coscienza, di dialogo, di memoria, come tu dici, serve e posizionare lo sguardo ben all'interno della situazione, in modo da cercare di connettersi subito al polso della questione (che è anzitutto esperienziale) e segnare un balzo rispetto ai limiti dell"approccio sociologico e antropologico propri del saggio.
Poi c'è il contrasto tra descrizioni complesse, con frasi lunghe, a volte liriche, dotate di una metrica propria, e un dialogato invece secco, gergale e dialettale, ulteriormente amplificato dall'uso di un misto di termini tecnici della "scena" e vocaboli ricercati. Questo, in un tentativo di sintesi tra forma e contenuto, serve a riflettere un aspetto chiave di un free party o di un teknival: il fatto che si tratta di contesti dove è facile esperire sia il "degenero" peggiore – basti andarci al pomeriggio, da lucidi, e vedere la gente imbozzolata che dorme nel fango assieme ai cani – sia, nei vari e molti zenit della nottata e del mattino, una bellezza straziante e assoluta, che ha del sublime. Questa commistione estrema tra "alto" e "basso" è un tratto saliente dei rave e dunque andava resa anche con la scrittura.
Infine nel romanzo e nella sua scrittura abbiamo una ricorsività e un continuo gioco di rimandi: alcuni comprimari ricorrono, ci sono parti di testo scritte dai personaggi stessi, chi è protagonista qua diventa figura sullo sfondo di là, e questo è un modo per richiamare il fatto che la musica elettronica, e in particolare quella estrema, come la tribe tekno o anche la psytrance, è fatta di loop, campionature, mixaggi di parti che arrivano anche da direzioni molto diverse.
FP: la seconda domanda ha ancora a che fare con le sotto/contro culture. Nel tuo, come in altri testi sull'argomento, si avverte una forte nostalgia; nostalgia dei bei tempi andati, delle età dell'oro. Ma sono mai esistite, mi pare che se lo chiedano anche i tuoi personaggi ad un certo punto, le età dell'oro? Non è che la nostalgia è un tratto caratterizzante di ogni sotto/contro cultura?
VS: Nel caso della free tekno, una cesura tra quando era controcultura radicale e quando è diventata una "semplice" subcultura, esiste. Le feste tekno nei locali, se ci pensi, sono una contraddizione dei principi fondanti di messa in discussione del sistema dell"intrattenimento, dei consumi, del concetto di "tempo del divertimento" su cui si fondava il movimento.
Tuttavia è vero che una certa nostalgia è un tratto tipico di tutte le controculture, e infatti in questo romanzo, piuttosto che sacralizzare il passato pure io, ho provato a ricentralizzare l'età d'oro e collocarla tra il 2000 e il 2007: per certi versi un'eresia, visto che già allora, alle feste, tutti, io compreso, si lamentavano che "non fosse più come una volta". Ma per quanto in quel periodo il movimento recasse già in sé i semi della corruzione, dall"altro aveva anche raggiunto una piena maturità formale ed estetica: la festa degli Heretik alla ex piscina Molitor del 2001, il Czechtek del 2004, il teknival di Pinerolo del 2007, ma ne potrei citare dozzine, sono eventi di portata epica, che però avvenivano mentre si parlava già addirittura di "morte" della free tekno.
Questa retromania, questa mitizzazione del "prima", questa continua nostalgia, oltre a essere in ultima istanza un prodotto dell'immaginazione (o di nostalgie altre, ad esempio quella, pura e semplice, di una giovinezza nel frattempo perduta) rischia di creare delle gerarchie di purezza, delle specie di "gradi" o mostrine da mettere sulle spalle della felpa – io invece credo che tutte le gerarchie debbano essere sfasciate e tutte le mostrine strappate e calpestate – a maggior ragione se si parla di manifestazioni libertarie come erano e sono i free party.
FP: Arkanoid, Spiral Tribe, Sbandao Bullets, Metek, Nonem, sono solo alcuni dei nomi delle tribe tekno più famose. Cosa ci raccontano questi nomi e quale immaginario evocano? Pensi si possa fare un'etimologia della scena free party a partire dai nomi delle tribe?
VS: questo punto è interessante. Certamente i nomi delle tribe rimandano a un immaginario preciso, che gioca tra anarchia, tribalismo, pirateria, citazionismo, punk, videogame, neomisticismo, ipertecnologia, postnucleare, nomadismo, meticciato, anonimato, nichilismo, il tutto con un tocco d'orgoglio ribelle e uno, pure d'ironia. E tutto questo non è forse il succo dell'immaginario free tekno? Del resto nei nomi c'è sempre una mappa nascosta...
FP: ricordo che quando usci Se fossi fuoco arderei Firenze, il tuo primo titolo per Laterza, un* critic* disse qualcosa del tipo che si sarebbe aspettato da te, come opera successiva, il cosiddetto "romanzone", l'opus magnum, il pezzo da mille. Insomma il romanzo che avrebbe dovuto consacrarti come autore con la A maiuscola. Da quel giorno a ora tu hai fatto uscire la riedizione di Personaggi precari, due volumi fantasy e Muro di Casse. Lo fai apposta o è una strategia?
VS: molti mi vedono come uno sperimentatore estremo, ed è vero che mi piace variare molto in quello che scrivo, ma tutto ciò avviene solo perché prendo molto molto molto sul serio la letteratura. Mi considero ancora lontano dai miei obiettivi potenziali – in manovra di avvicinamento, una manovra che probabilmente non finirà mai perché mi misuro con figure e testi altissimi, rispetto ai quali la sconfitta è implicita e inevitabile.
Ma lungi dall'essere un'accozzaglia di testi diversi, tutto quello che ho scritto e pubblicato finora ha una coerenza in realtà assai forte, che pian piano comincia a vedersi anche da fuori: Muro di casse chiude alcuni discorsi aperti negli Interessi in comune, con cui ha in comune un protagonista, Iacopo Gori, ma ne apre altri ancora da sviluppare (già a diversa gente non è sfuggito che Cleo, un'altra dei protagonisti del Muro, torna nel racconto apparso nell'Età della febbre, l'antologia di scrittori under-40 appena uscita per minimum fax); Personaggi precari, poi, andava ristampato col lavoro fatto negli ultimi 5-6 anni proprio perché vi erano testi che dialogano con quello che scrivo ora (ad esempio un passaggio di Muro di casse, quello in cui Cleo ricorda i propri coinquilini berlinesi, viene da Pp); anche Terra ignota, anche al di là del fatto che arriverà in futuro un testo che lo ricollegherà in modo coerente al mio "universo" realistico, mi è servito per fare il punto sul ruolo che il fantastico, non solo letterario, ha avuto nella mia formazione, e per sperimentare una intertestualità estrema, che fuori dai recinti del "genere" sarebbe stata rischiosa da gestire prima di dominarne i meccanismi.
Muro di casse già sfrutta alcune delle tecniche sviluppate lì, e le porta oltre assegnando funzioni autoriali ai personaggi stessi. Adesso sto lavorando a un paio di cose. Forse una di esse è la "cosa grossa", o forse no, forse avrò bisogno di sperimentare ancora. Vediamo. Per ora i miei libri, a quanto risulta, funzionano, quindi avanti così: sono felice di non essermi mai piegato a compromessi ma aver fatto quel diavolo che mi pareva, a volte lasciando a mezzo anche progetti, ma in ultim'istanza trovando una fiducia da parte dell"ambiente editoriale che finora è sempre stata ripagata dai risultati – e visto quanto forte è partito Muro di casse mi sa che il bello deve ancora venire.