Rivista Letteraria o di come il problema sia sempre stata la distribuzione
Per noi hipster di provincia il problema è sempre stata la distribuzione. La distanza della periferia dal centro ci ha condannato per anni a recepire in ritardo le tendenze più avanzate nella produzione culturale. Quando riuscivamo a mettere le nostre mani avide su moda, cinema, musica, libri e riviste che tanto avevamo desiderato, altrove, nei centri urbani dove avevamo l'impressione che tutto accadesse all'istante, questi erano già da tempo diventati mainstream, condannandoci a un'eterna e inutile rincorsa.
E siccome il problema era la distribuzione ervamo disposti a trasferte lunghe, faticose e dispendiose, per poterci procurare questi oggetti così dannatamente necessari a definire le nostre identità di hipster di provincia. Ricordo le incalcolabili quantità di firme falsificate sui libretti scolastici da me e dai miei amici, necessarie per guadagnare il tempo necessario a imbarcarci sul primo regionale per Bologna, con lo scopo di dilapidare le nostre magre paghette di adolescenti fine anni '90. Paghette ancora in lire che finivano nelle tasche dei bancarellari del mercato della Montagnola, che ai nostri occhi ingenui parevano essere reduci da chissà quali cicli gloriosi di lotta.
Acquistavamo così a prezzi esorbitanti pessimi tascapane militari, kompassträger marchiati US ARMY e magliette antagoniste Continuons le combat che si arrendevano al primo lavaggio, stingendo tristemente nel cuore delle nostre lavatrici.
Poi arrivò internet, con la sua illusione di immediatezza, a cambiare tutto. Da quel giorno il nostro orologio cominciò a battere all'unisono col tempo delle metropoli dove si decidevano le sorti del gusto e l'ecommerce ci risparmiò finalmente le trasferte clandestine, anche se non ci rese immuni dai pacchi clamorosi che continuavamo a prendere.
Quando qualche settimana fa mi sono imbattutto nelle prime briciole di Rivista Letteraria, la rivista letteraria edita da Alberto Motta, non ho potuto trattenermi dal provare un profondo senso di nostalgia per quel periodo di snobismo ritardatario che fu la mia adolescenza ai margini del confine settentrionale del Paese.
Rivista Letteraria è una fanzine distribuita gratuitamente a mano, secondo l'atavico business model degli spacciatori di un tempo. Quei personaggi sconfinanti nel mitologico, abituati a sacrificare una parte del loro package per farcire caramelle da distribuire a ignari quanto imberbi scolari, al solo scopo di fidelizzare una clientela non ancora stabilmente avviata verso la prematura dipartita che spetta a tutti i tossici.
Come se tutto questo non fosse già sufficiente a titillare la mia anima hipster, Rivista Letteraria è stampata in 500 copie numerate, circostanza che aggiunge all'insieme il fascino mai sopito del collezionismo. Vivendo in un contesto dove la rivista più "alternativa" che gira è Internazionale non ho bisogno di riflettere più di una frazione di secondo per scrivere e farmi arrivare a casa la rivista.
La busta gialla imbottita contenente la copia numero 430 di Rivista Letteraria arriva a casa mia di venerdì 27 Febbraio 2015. Giusto in tempo per un fine settimana che da tempo avevo programmato di dedicare alla nullafacenza.
Una volta liberata dalla busta che l'ha protetta durante il viaggio, Rivista Letteraria rivela immediatamente ai polpastrelli la consistenza grezza e ruvida della sua carta, lontana anni luce dalla lusinghe wannabe patinate che si possono toccare di frequente nelle edicole o nelle librerie al giorno d'oggi. La copertina è completamente bianca come se ci trovassimo di fronte a un quaderno a cui hanno strappato la copertina. Un lieve rigonfiamento all'altezza della costola tradisce i punti metallici che tengono insieme quel mucchio di fogli.
L'intestazione riempie la parte alta della copertina. Il nome è stampato sue due righe, in caratteri maiuscoli. In basso a destra campeggia la lista degli autori che hanno contribuito alla rivista: Emiliano Baragiola, Ivan Carozzi, Gabriele Ferraresi, Claudio Grattacaso, Alberto Motta, Alessandro Pallaro, Manuela Ravasio, Ian Sansom, Giuseppe Sottile, Francesco Tenaglia, Alex Trecarichi.
Sfogliandola, il colore della carta passa dal latteo candore a un grigio equivoco, che per un attimo stranisce, salvo poi comunicarci il suo posto nell'/nel(dis)ordine cosmico della rivista non appena ci si accorge dell'impaginazione. Non vi è alcuna uniformità nelle font. La diversità, del tipo di carattere, delle sue dimensioni, degli allineamenti del testo, è la cifra stilistica più riconoscibile del progetto. Ogni testo sembra essere finito all'interno di quella raccolta di fogli quasi per caso, come se fosse stato rubato dal cestino di un editor troppo distratto per accorgersi di quanto gli stava scivolando sotto gli occhi.
I testi sono accompagnati da dipinti e fotografie, partecipanti anch'essi al ragionato disordine cosmico che anima le pagine di questa litzine.
Invece di armeggiare ai fornelli prima che il tempo concessomi per la pausa pranzo dal mio datore di lavori scada, velocizzando angosciosamente la colonna sonora come accadeva in Super Mario, sono lì che tergiverso sfogliando Rivista Letteraria, quando il titolo ON/OFF, Jake La Furia e Luca Sofri, car sharing e socialismo reale, Lacan, decalogo, serie tv. mi ferisce l'occhio. Al di là dell'innegabile catchyness della headline, il pezzo di Gabriele Ferraresi non passa inosservato date le dimensioni della font.
Il sottotitolo recita "un pezzo commissionatomi da Alberto Motta in persona: inizialmente intitolato "Ecco perché ve ne dovete andare tutti affanculo". Non si può non amare un takeaway del genere, specie se lo segue una rima di Jake La Furia e il sottotesto del primo taglio dell'articolo è un accorato vaffanculo al "fighettismo arriccicazzi o bagnafiche" di Luca Sofri e de Il Post con tanto di citazione "dell'ottimo Giornalaio". Come da titolo il resto è un accendersi/spegnersi di amabili sproloqui sugli argomenti già evidenziati nel titolo.
Il secondo pezzo che attacco, mentre provvedo ad espletare le mie necessità fisiologiche seduto come di consueto sul cesso, s'intitola Autobahn. Il tedesco è irrsistibile per chi, come me, è nato e cresciuto nella heimat sudtirolese. Lo firma il Francesco Tenaglia e racconta dell'incredibile concidenza tra la durata dell'omonimo pezzo dei Kraftwerk e la durata del tragitto in bicicletta da casa sua al bar Picchio di via Melzo a Milano, "un locale che è la copia esatta di qualsiasi bar della provincia italiana in cui vi abbia portato vostro nonno negli anni ottanta/primi-novanta per bere un bianchetto". Il tutto corredato da foto Google Street View di località poste a 23 minuti di distanza in bici dall'abitazione del suddetto Tenaglia.
A quel punto mi tocca smollare il colpo. Avverto il richiamo del dovere sociale, che al venerdì pomeriggio si risolve in un macarbo reminder di quanto ci renda liberi, lavorare.
Sfangate a fatica le ultime 4 ore della settimana torno a casa, stappo una Dragonhead - che, se ve lo steste chiedendo, è una stout delle Ocradi (noi hipster di provincia non beviamo birra, beviamo brand e relative location) - la verso nell'apposita pinta e mi immergo nuovamente nella lettura. Per imbattermi nel malatissimo resoconto degli acquisti etilico/nottambuli di un Alex Trecarichi in pieno trip musicale a 8bit. Reportage che si conclude con "una valanga di email da eBay. Conferma dell'ordine relativo a: decine di cagate".
Il resto della rivista è un tantino meno malato dei primi tre articoli che ho estratto casualmente dal mazzo di carte. Circostanza che dovrebbe farvi riflettere su quanto le coincidenze, a volte, possano essere rivelatrici della natura umana.
Ai pezzi di non fiction, come il racconto della colonia eugenetica di Nueva Germania, incastonato a matrioska nel racconto dell'incontro di Ivan Carozzi con lo scrittore David Woodward a Mitte (Berlino/Berlin), si affiancano i racconti di Claudio Grattacapa - Invidia Crepa road novel in salsa serboemiliana - e Giuseppe Sottile che con Eletti dal Signore ci porta alla scoperta della sessualità di un giovane seminarista siciliano.
A questo punto però mi sono sbilanciato fin troppo, correndo il rischio di trasformare questa esclusivissima litzine in un prodotto così mainstream da dovermi costringere a odiarla.
Quello che posso però consigliarvi di fare è di aprire immediatamente Google e di cominiciare a cercarne le tracce. Alla fine di Febbraio ce n'erano in giro almeno altre 70 copie, se vi sbrigate forse riuscirete a trovarne ancora una da portarvi a casa.
Se non ci riuscirete sarete condannati per sempre a essere guardati con distacco, alterigia e disprezzo da noi altri, piccoli e rancorosi hipster di provincia.