Tutte le differenze del giaguaro: ritratto di Fredy Guarín
Introduzione
Se c'è una cosa che la semiotica ci ha insegnato è che non si dà senso nell'assenza di differenza.
Il quadrato semiotico, la più immediata visualizzazione di questo insegnamento, viene definito, su Wikipedia, in questi termini:
Il quadrato semiotico è un metodo di classificazione dei concetti pertinenti ad una data opposizione di concetti quali maschile-femminile, bello-brutto, ecc. e di classificazione dell'ontologia pertinente.
Il quadrato semiotico perciò non è altro che la matrice in base a cui, data una coppia di concetti messi in relazione tra loro, si produce un serie ulteriore di meta concetti.
Prendiamo come esempio l'essere (S1) e l'apparire (S2). Per questi due concetti il quadrato semiotico presuppone due opposti, il non essere (~S1) e il non apparire (~S2). Questi quattro termini sono in relazione tra loro in questo modo:
- S1 e S2: sono contrari
- S1 e ~S1, S2 e ~S2: sono contraddittori
- ~S1 e ~S2: sono subcontrari (possono avere in comune delle zone intermedie)
- S1 e ~S2, S2 e ~S1: sono complementari (sono legati da una relazione di implicazione)
Qualsiasi concetto ulteriore lo possiamo costruire a partire da questo intreccio di relazioni. Perciò, muovendoci sugli assi orizzontali del quadrato semiotico, definiremo come vero ciò che è in un modo e appare come tale e come falso ciò che non è in un modo e non appare nemmeno come tale.
Allo stesso modo, muovendoci sugli assi orizzontali del quadrato, definiremo come segreto ciò che è ma non appare come tale e come menzogna ciò che non è pur apparendo come tale.
È il cosiddetto quadrato semiotico di veridizione, sviluppato da Jean Marie Floch.
Il quadrato semiotico è stato introdotto dal linguista e semiologo lituano Algirdas Julien Greimas, che lo ha derivato dal quadrato logico di Aristotele, donandoci un metodo di classificazione che mette la differenza al centro della dinamica di generazione del senso.
Se mi sono soffermato a descrivere il ruolo costituitivo che il concetto di differenza riveste nel metodo semiotico, è perché differenze e dicotomie costituiscono oggi il cuore di ogni discorso che provi a inquadrare e capire il destino dell'FC Internazionale.
La squadra milanese, che dopo la caduta dell'impero di Mourinho a Milano pare somigliare a una veduta di rovine su cui fatica ad attecchire il germoglio di un futuro, sta provando, tra luci e ombre, tra continuità e rottura, a costruire un nuovo ciclo tecnico e tattico.
Il modo migliore per provare a capire il senso di questo percorso è accostare la figura di Fredy Guarín.
Che lo sia apprezzi o lo si detesti, Guarín è il giocatore più rappresentativo di questi ultimi 3 anni dell'Inter.
Il testo, per restare al lessico semiologico, in cui, con più evidenza, affiorano tutte le dicotomie, le contraddizioni e le differenze di potenziale che oggi costituiscono il senso di una squadra che a soli 5 anni dal Triplete è tornata a vivere la melancolica nostalgia di grandeur che ha caratterizzato gran parte della sua storia.
Quello che segue sarà, perciò, un racconto di differenze.
Integrità/Infortunio
Ufficialmente Guarín arriva all'Inter il 31 gennaio del 2012, dal Porto. Sulla panchina dei nerazzurri siede Claudio Ranieri. Ma ci vogliono due mesi per vedere in campo per la prima volta questo colombiano dallo sguardo tagliente.
Ma ragioni e scelte tecniche, qui, non centrano.
Poco prima della firma del contratto, durante le visite mediche di rito, nella macchina organizzativa diretta allora da Marco Branca, un ingranaggio stride. I medici nerazzurri evidenziano infatti che il giocatore non ha ancora del tutto riassorbito la lesione al polpaccio rimediata in Novembre, durante una partita della nazionale colombiana, e riacutizzatasi il mese successivo.
Nonostante l'infortunio, il giocatore firma ugualmente un contratto biennale per due milioni a stagione. Con il Porto, invece, la società si accorda per il prestito fino a fine stagione, fissando a 11,5 milioni la cifra per il riscatto. Da parte della società di Massimo Moratti è una dichiarazione di stima e fiducia in un giocatore che è pur sempre arrivato rotto.
Le voci parlano di una cattiva gestione dell'infortunio da parte dei medici portoghesi. I tempi del recupero non sono chiari e Guarín, pur essendo stato protagonista con l'assist per il gol decisivo di Falcao nella finale di Europa League vinta dal Porto solo pochi mesi prima, non è un giocatore la cui fama è così cristallina da tacitare i detrattori.
Nella differenza tra integrità e infortunio, sotto il cui segno si apre la carriera interista del giocatore, si annidano e sussurrano tutti i fantasmi della storia nerazzurra. I tanti Vampeta acquistati negli anni, gli scambi scellerati e l'ostinato amore verso giocatori fragili e geniali.
È con questo stigma sulle spalle che Guarín debutta con la maglia dell'Inter.
È il primo di Aprile, la Domenica delle Palme. Sulla strada che conduce a San Siro i tifosi nerazzurri sventalano ramoscelli d'ulivo per salutare un nuovo profeta. Se Mourinho è Dio, Andrea Stramaccioni, che gli somiglia almeno nello stile, può ambire a sedere alla destra del padre nel cuore dei tifosi interisti. Stramaccioni è il terzo allenatore della stagione. È subentrato a Claudio Ranieri, per il quale è stata fatale la sconfitta per due a zero contro la Juventus, rimediata la giornata precedente a Torino.
Nella formazione titolare di quell'Inter, che scende in campo in casa contro il Genoa, giocano ancora molti dei protagonisti del triplete. Sono i guanti di Julio Cesar a custodire la porta, davanti a cui si ergono Zanetti, Samuel, Lucio e Chivu. A centrocampo giostrano Cambiasso e Stankovic, insieme all'ex doriano Poli. In attacco un Forlan mezzo bollito e la meteora Zarate affiancano il Principe Milito.
Guarín entra al 60', sulle spalle porta il numero 14, la data di nascita del figlio nonché il numero di Patrick Vieira (ma in seguito indosserà il 13). Rileva Stankovic, di cui per molti commentatori è l'erede naturale, per le sue doti fisiche e il tiro potente dalla distanza. La partita è ferma sul 3-2 per i nerazzurri che, dopo un inizio folgorante, hanno concesso due rigori alla squadra ospite
Ventiquattro minuti dopo il tabellone di San Siro segna 4-3 per L'Inter. È il minuto numero 84, Obi, anche lui entrato in campo da poco, salta un uomo all'altezza del lato sinistro dell'area di rigore del Genoa. Il terzino nigeriano supera la linea laterale quel tanto che basta per indirizzare un cross basso e teso verso il centro dell'area, dove Guarín, che si è smarcato con un movimento a rientrare, attende tutto solo la palla.
Il colombiano controlla il tiro del compagno, la palla schizza via un metro oltre, all'altezza del dischetto. Guarín scatta in avanti e così fanno anche tre difensori del Genoa, che gli si avventano addosso. L'intervento di uno dei tre, Belluschi, è scomposto. Il giocatore prende gamba, caviglia e pallone tutti insieme. Guarín va a terra. Per l'arbitro Valeri non c'è dubbio, penalty e cartellino rosso. Milito calcia - tripletta - e l'Inter si porta sul 5-3. La partita si chiuderà al 93', con il risultato fissato sul 5-4 dal rigore di Gilardino. Da lì alla fine della stagione farà segnare in totale sei presenze e nessuna rete.
Timidezza/Grinta
"Como estás? Todo bien guerito?", "come butta, tutto bene, biondino?" chiede ridendo il ragazzo mentre agita il microfono per indicare alla videocamera dove inquadrare.
La videocamera si abbassa, scende a scatti verso destra. Per un istante un'ombra riempie l'inquadratura. Poi, timidamente, un sorriso tirato fa capolino dal buio. Solo allora, di colpo, la videocamera spazza via l'ombra che riempie l'obiettivo e il volto di Guarín appare per intero.
"Sabrosito Carechimba", "da dio, coglione" gli risponde il colombiano.
L'anno è il 2006 e il video mostra i festeggiamenti per la vittoria del Boca Juniors nel torneo di Clausura di quell'anno. Sulla panchina della compagine di Buenos Aires, pochi mesi prima, si è accomodato Alfio Basile, l'allenatore destinato a vincere ben 5 tornei consecutivi con quel Boca.
Agli xeneixes Guarín è approdato proprio insieme a Basile, alla fine dell'estate del 2005. Per Fredy è la prima esperienza in una squadra di vertice. Nelle due stagioni precedenti, dal 2003 al 2005, ha militato nell'Envigado, la squadra colombiana nelle cui giovanili è cresciuto e si è formato. La stagione 2002/2003, quella del debutto nel calcio professionistico, l'ha invece trascorsa tra le fila dell'Atlético Huila.
Né l'Atlético Huila, né l'Envigado sono squadre particolarmente blasonate. Il primo è stato fondato nel 1990, il secondo solo un anno prima e nessuna delle due squadre ha mai vinto un titolo. Guarín, che è nato nel 1986, è più vecchio di entrambe le compagini.
Quando arriva al Boca ha 19 anni. Davanti a lui, nelle gerarchie del centrocampo, ci sono giocatori come Fernando Gago, Pablo Ledesma, Federico Insúa e la leggenda del club, Guillermo Barros Schelotto. Nomi troppo importanti per riuscire a ritagliarsi, così giovane, un posto da protagonista in quell'annata straordinaria. Finisce che Guarín in gialloblù gioca soltanto due partite e l'anno successivo lascia l'Argentina per la Francia, destinazione Saint'Etienne.
Dell'esperienza nel Boca dirà, in un'intervista qualche anno dopo, che in bocca gli è rimasta una sensazione di amaro, una rabbia per non aver potuto dare di più in quella squadra così fantastica e importante.
E infatti, se torniamo per un attimo al video dei festeggiamenti del Clausura 2006 e lo riguardiamo ancora, con più attenzione, in quei pochi secondi in cui lo si vede apparire, quella rabbia ci sembra quasi di vederla. Nel suo nascondersi nell'ombra del pullman della squadra, nel suo sorriso timido e tirato a mezza bocca, nel ritmo forzato dell'applauso, negli occhi lucidi e sfuggenti che sembrano voler scansare la videocamera a ogni costo e si arrendono all'obiettivo solo quando questa si avvicina così tanto da non poter essere ignorata. E, infine, in quel "sabrosito carechimba" in cui, nella gioia incontestabile della vittoria, si avverte tutta la delusione di Guarín.
Cristallizzata in pochi secondi di video c'è un'altra, fondamentale, differenza attorno a cui si costruisce il senso del testo "Guarín", i cui fili stiamo provando a seguire. La differenza tra la profonda timidezza di un ragazzo che non se la sente di festeggiare perché avverte di non avere un posto nella festa e la grinta rabbiosa di un giocatore consapevole di sentirsi a casa in un posto solo e soltanto: sul campo di pallone.
Se non bastasse il video dei festeggiamenti del Boca, per accorgersi della sua timidezza, basterebbe guardare qualche altra intervista, come questa rilasciata alla fine di Settembre 2014 al microfono di Roberto Scarpini. Tutto, nel linguaggio del corpo del giocatore, tradisce il suo disagio e la sua timidezza, il suo sentirsi fuori posto davanti alla videocamera. Gli occhi si muovono febbrili, come se fossero alla ricerca di qualcosa a cui aggrapparsi, senza riuscire a trovarla. Lo sguardo perciò non osserva mai nessuno direttamente, né la videocamera né il giornalista che gli porge il microfono. Spesso le spalle si stringono, le labbra sono serrate e la voce sembra un sussurro lontano.
Ma è davvero questo ragazzo timido è impacciato, quel guerriero con tecnica che si è presentato per la prima volta ai tifosi interisti il primo Aprile del 2012?
Giovedì 30 Agosto dello stesso anno, San Siro ospita i rumeni del Vaslui per il ritorno del secondo preliminare di Europa League. Per Andrea Stramaccioni, l'uomo che ha fatto debuttare Guarín in nerazzurro, il sesto posto conquistato alla fine della stagione precedente è valso la riconferma. Nonostante quella che inizia sia l'ultima stagione interista per Dejan Stankovic, di cui il colombiano dovrebbe essere l'erede designato, la sera del 30 Agosto il colombiano parte dalla panchina.
Alla mezz'ora del primo tempo l'Inter è sotto per 1-0. Stanciu ha infatti trasformato il rigore che si è procurato dopo un'incursione in area interrotta maldestramente da Castellazzi che gli è franato addosso, facedosi espellere.
All'andata è finita 2-0 per i nerazzurri, che ora dovranno resistere alle folate della squadra avversaria in dieci uomini, per tutti i sessanta minuti successivi. All'inizio del secondo tempo Stramaccioni lo butta nella mischia, facendo uscire Samuel e passando alla difesa a tre. Il colombiano è in gran spolvero e prende immediatamente in mano le redini del centrocampo. Con lui in mezzo l'Inter avanza il baricentro e ritrova equilibrio, tanto che al settantacinquesimo trova la rete grazie al sinistro di Palacio, che riceve palla da Coutinho.
Purtroppo per gli uomini di Stramaccioni il pareggio dura pochissimo, un minuto soltanto. Quanto basta a Varela per riportare la sua squadra in vantaggio, colpendo di testa in occasione di un calcio d'angolo.
Gli ultimi minuti sono drammatici, il Vaslui, a cui basta una rete per qualificarsi, si butta in avanti forte della superiorità numerica. Ed è a quel punto che, per la prima volta, i tifosi interisti vedono apparire, nel volto e nel corpo di Guarín quel Mr Hyde che nelle interviste il giocatore nasconde dietro alla timida parvenza di uno spaesato Dr. Jekill.
Il minuto è il novantunesimo. Varela interrompe un'azione interista, smista a favore di un compagno che verticalizza verso Buhaescu, il quale attende il pallone a centrocampo. Zanetti gli sbarra la strada, costringendolo a sterzare verso il centro del campo dove Guarín, in ripiegamento, si è appena fermato per aspettarlo. Il colombiano si frappone con il corpo tra l'avversario e la palla, soffiandogliela dai piedi senza commettere fallo e ripartendo al piccolo trotto. Sui 25 metri Tukura lo affronta in scivolata, ma Guarín gli resiste e prosegue la sua corsa. Tra lui e la porta ora c'è soltanto un difensore. Il giocatore inclina il corpo sulla sinistra, dando l'impressione di voler convergere al centro. Poi, di scatto, sposta il peso del corpo sulla destra ed esegue un doppio passo portandosi il pallone all'altezza del piede preferito. L'avversario resta disorientato per un attimo, quanto basta al giocatore per caricare il tiro e liberare un colpo rasoterra che supera il portiere.
L'esultanza è un'esplosione di energia repressa. Schiena curva, faccia rivolta a terra, pugni serrati, braccia e gambe che stantuffano in alto e in basso. Come se il giocatore stesse ballando uno skanking folle e solitario. La bocca spalancata in un urlo a metà tra la gioia e la liberazione, come se qualcosa di trattenuto troppo a lungo fosse uscito rompendo gli argini di un carattere altrimenti schivo e introverso e ora fosse libero di riempire col suo frastuono il catino di San Siro che ruggisce.
Le esultanze di Guarín sono spesso rabbiose e prorompenti: rabbiose come i suoi tiri dalla distanza, proprompenti come le progressioni con cui il giocatore solca il campo, frantumando le difese avversarie.
Timidezza e grinta rappresentano i poli attorno cui si snoda la personalità di questo giocatore. Sembra impossibile che due emozioni tanto distanti possano convivere in modo così puro e intenso nella stessa persona, senza riuscire a trovare una sintesi che le trasformi in qualcosa di unico. Di amalgamato.
Perché Guarín, ce ne accorgiamo riga dopo riga, parola dopo parola, non è, in alcun modo, una monade. Guarín incarna l'essenza del doppio. È il duale per eccellenza.
Inter/Juve
La conferenza stampa con cui viene presentato ufficialmente si svolge pochi giorni dopo il suo debutto in Serie A contro il Genoa. Rispondendo ai giornalisti, in almeno due occasioni, il giocatore ribadisce che la scelta dell'Inter non è stata casuale, bensì è il frutto di una riflessione che dura da almeno due anni e in cui ha avuto un ruolo determinante la mediazione del compagno di nazionale, nonché bandiera nerazzurra, Ivan Ramiro Cordoba.
Tuttavia non è un mistero che durante il mercato di gennaio anche la Juventus, la rivale di sempre, lo abbia seguito e per un attimo sia stata molto vicina a prenderlo. Durante la trattativa, ai microfoni di Radio Catena Nacional, il giocatore ha anche pronunciato una frase che non sembrava lasciare spazio a nessun fraintendimento rispetto alla sua volontà: "Se lascio il Porto, scelgo solo la Juventus".
Di carne al fuoco ce n'è abbastanza per giustificare l'insistenza con cui i giornalisti presenti chiedono conto al giocatore della sua scelta. Ovviamente Guarín non può dare adito a dubbi sulla sua volontà di vestire i colori della squadra milanese, anche se, nel prosieguo della sua carriera e alla luce degli eventi, la sicurezza con cui il 5 Aprile 2012 il colombiano spiega la sua scelta potrebbe apparire soltanto una maschera.
Non sarà infatti la prima volta che il destino del giocatore sarà sospeso a metà strada tra Milano e Torino, tra il nerazzurro interista e il bianconero juventino.
Sono passati soltanto due anni dall'arrivo di Guarín all'Inter. Andrea Stramaccioni è stato esonerato dopo la sua prima stagione, funestata da un disastroso girone di ritorno, che ha lasciato la squadra fuori dalle competizioni europee. Ora a guidare i nerazzurri c'è il livornese Walter Mazzarri, arrivato dopo gli anni esaltanti passati sulla panchina del Napoli.
Ma la novità più importante è l'avvicendamento alla proprietà. Massimo Moratti ha infatti ceduto la società al miliardario indonesiano Erick Thohir il 15 Novembre del 2013. Una figura, quella dell'asiatico, che in Italia conoscono in pochi e che fino a quel momento, ma anche dopo, ha rappresentato un enigma per tutti: tifosi, giornalisti e addetti ai lavori.
Per il neopresidente il mercato di riparazione del 2014 è il banco di prova a cui tutto l'ambiente lo attende. L'occasione perfetta per tacitare i detrattori, che, complice il congenito provincialismo italiano, non mancano. Tra battutine dal sapore vagamente razzista e dubbi sulla sua competenza in ambito calcistico tutti si aspettano di capire come Thohir si muoverà sul mercato per saggiarne la caratura e le intenzioni nei confronti dell'Inter.
E Guarín, come in ogni finestra di mercato che si succede da due anni a questa parte, tiene banco anche nei primi giorni del 2014. Infatti i rumor su una possibile cessione del giocatore si rincorrono già da settimane. Alle voci si aggiunge la considerazione che, da quando Mazzarri è arrivato in panchina, il giocatore sembra aver perso lo smalto della prima stagione in nerazzurro, quando nel 3-5-2 di Stramaccioni sapeva fendere le difese avversarie creando spesso i presupposti per le azioni più pericolose della squadra. Come testimoniano i 7 gol e i 6 assist che mette a segno tra campionato ed Europa League. Il rischio, neanche troppo taciuto, è che il giocatore, a forza di prestazioni incolori, si svaluti.
Ma questa volta alla finestra non ci sono né il Chelsea e neppure il Manchester United, due squadre a cui il giocatore è stato affiancato più volte in passato. L'ipotesi più accreditata è quella di uno scambio con la Juventus. In cambio del centrocampista colombiano dovrebbe arrivare a Milano l'attaccante montenegrino Mirko Vucinic. Un giocatore che viene da due stagioni mediocri in bianconero e alla ricerca di un'occasione per rilanciarsi. La trattativa per lo scambio è orchestrata da Marco Branca, lo stesso dirigente che aveva portato Guarín a Milano due anni prima.
Coco per Pirlo, Guly per Seedorf, Carini per Cannavaro. Quando si parla di scambi con le rivali la memoria dei tifosi interisti si fa spesso suscettibile. Troppe sono le ferite ancora aperte su cui la notizia dello scambio Guarín-Vucinic brucia come aceto. La differenza rispetto al passato è che la vicenda accade nell'epoca dei black mirror e della comunicazione istantanea. Ci vuole davvero poco perché la rabbia e la delusione dei tifosi interisti esondino sui social network.
Difficile quantificare il peso che la reazione dei tifosi ha avuto nella vicenda, fatto sta che a chiudere definitivamente la trattativa ci pensa proprio il neopresidente in persona. Thohir interviene con una nota ufficiale, dichiarando che, nonstante l'annucio fatto dai dirigenti bianconeri, "con la Juve non c’era nulla di firmato" e che i dirigenti bianconeri "hanno sbagliato a rendere pubblico un messaggio privato, sono dovuto intervenire per difendere il nome dell’Inter".
Ai primi di febbraio Thohir dà il benservito a Marco Branca, comunicando la risoluzione consensuale del contratto. A restare in nerazzurro, invece, è proprio Guarín, che firma il rinnovo fino al 2017.
Per la seconda volta nella sua carriera, Guarín sceglie di restare a Milano. Lo fa sull'onda del sostegno e della fiducia di tifosi e società, ma nonostante nel mercato di gennaio abbia giocato il ruolo di bandiera interista in un faccia a faccia contro la più acerrima nemica, è ancora lontano dal diventare un idolo della tifoseria.
Come sempre in questa storia, sono le differenze a comandare il gioco. Luci e ombre, delusione ed entusiasmo si addensano sul suo destino, strattonandolo nell'ennesimo circuito.
Applausi/Fischi
31 Marzo 2014, sette giorni dopo il rinnovo di Guarín, due mesi dopo l'affaire Vucinic. È una serata di primavera come ce ne sono tante, l'Inter è ospite del Livorno allo stadio Armando Picchi. Ha giocato una partita discreta trovando più volte la conclusione o provando a suggerire in area per i compagni, ma invano. Il colombiano non ha segnato e nemmeno ha fatto segnare.
Al minuto 85 riceve un retropassaggio da Palacio poco dopo la metà campo.
I nerazzurri conducono per 1-2, grazie alle reti di Hernanes e Palacio. Per gli amaranto è andato a segno il brasiliano Paulinho, lasciato completamente solo in area durante un calcio d'angolo.
Spavaldo, Duncan fronteggia il colombiano, costringendolo a indietreggiare di qualche metro per difendere palla. Pressato dall'avverasrio Guarín prende la decisione peggiore. Calcia forte il pallone, indietro, verso la sua porta, dove solo due difensori sono rimasti a guardia del portiere.
Il pallone, calciato rasoterra, viaggia velocemente, prendendo Samuel in controtempo. Alle sue spalle scatta Emeghara. Il giovane attaccante svizzero di origine nigeriana è veloce, troppo veloce perché i muscoli e i polmoni del vecchio muro interista possano contrastarlo. E il pallone di Guarín è preciso, troppo preciso, per non rincorrerlo.
Emeghara arriva per primo sul retro passaggio, lo controlla e si porta col pallone appena dentro l'area. La posizione è centrale, lo specchio della porta presidiata da Handanovic completamente spalancato. L'attaccante non deve far altro che dare al suo destro abbastanza potenza e il minimo di precisione necessaria per insaccare il tiro.
È il 2-2 che chiude la partita.
Quel retro passaggio inaugura il periodo più basso della sua parabola interista. I tifosi che solo pochi mesi prima avevano inondato di messaggi i social network per impedire lo scambio con Vucinic oggi non risparmiano fischi e rimbrotti all'indirizzo del giocatore.
I velenosi tiri dalla distanza che i portieri avversari avevano imparato a temere si sono trasformati in ridicoli home run. Le rabbiose progressioni in dribbling diventano scalpiccii goffi e indisponenti. Anche gli appoggi più semplici, in quel momento, sono infidi e scivolosi. Quelle che un tempo erano giocate capaci di strappare applausi a scena aperta sembrano svanire come il ricordo di glorie passate.
Campione o brocco? L'intera permanenza di Guarín all'Inter si gioca sotto il segno di questa alternativa, della differenza tra fischi e applausi, che sembra non doversi risolvere mai. Perché Guarín ha la straordinaria capacità di passare da un estremo all'altro dello spettro del talento inaspettatamente e senza soluzione di continuità, non dando alcun punto di riferimento che aiuti a capire la sua reale consistenza, il suo vero valore.
Guarín non dà certezze, appigli, sicurezze. Guarín semina punti di domanda, alternative e bivi. C'è, ad esempio, un rapporto di causa/effetto tra la posizione che occupa in campo e le sue prestazioni?
All'inizio di un video di Scout Nation la capacità di passaggio, la forza e la capacità di lavorare per la squadra sono indicate come i punti di forza del giocatore. Caratteristiche che lo hanno reso un centrocampista completo. Infatti è nel ruolo di interno destro che il giocatore si è espresso ai suoi livelli migliori.
Al Porto è quella la posizione che occupa nell'aggressivo 4-3-3 di Villas Boas. Da quella posizione infatti può sfruttare la sua forza per aggredire il portatore di palla avversario e, una volta recuperata la sfera, ripartire esplodendo la progressione in velocità. Ribaltando rapidamente il vettore d'attacco Guarín si trova spesso in condizione di tirare dalla distanza ed essendo in possesso di un tiro potente e preciso trova con regolarità la porta e la rete.
L'azione che porta al secondo gol di Milito nella partita vinta contro la Juve allo Stadium, il 3 Novembre 2012, è un esempio perfetto della sua giocata tipo. Il colombiano pressa Pirlo e gli porta via il pallone sulla propria trequarti. Avanza fino al limite dell'area avversaria allungandosi la palla per bruciare Chiellini nel suo tentativo di chiudere lo specchio. A quel punto, defilato sulla destra dell'area, tira di destro. La respinta di Buffon finisce dritta sui piedi dell'accorrente Milito, che insacca da pochi passi.
Ma anche quando non arriva al tiro, Guarín è comunque in grado di essere pericoloso servendo l'assist in corsa per i compagni (un'altra delle sue specialità), crossando dalla trequarti o cercando il fondo.
Oltre che da interno destro, nel corso della sua carriera, ha giocato da trequartista in Francia. Ma è all'Inter che sperimenta i più significativi trasformismi tattici.
Quando Stramaccioni, dopo qualche mese di esperimenti, trova nel 3-5-2 la quadratura del cerchio, Guarín gioca titolare fisso nella posizione che predilige. La disposizione dei centrocampisti centrali è pressoché identica a quella del centrocampo del Porto, con Cambiasso a fare le veci di Fernando davanti alla difesa e Gargano sulla sinistra, dove nel Porto giocava Joao Moutinho.
Con Mazzarri invece le cose cambiano. Pur giocando con lo stesso modulo, il livornese lo adopera anche come esterno o, più spesso, in una posizione non particolarmente definita, a metà tra il trequartista e la seconda punta. La pubalgia di Icardi e l'infortunio di Milito infatti costringono Mazzarri a schierare Palacio centravanti con Guarín in appoggio. Ma giocando così vicino all'area di rigore avversaria, in una posizione che lo costringe spesso a ricevere palla sui piedi, con le spalle alla porta, non può sfruttare le sue doti migliori: la capacità di recuperare la sfera e ripartire in velocità sfruttando la sua forza fisica e la resistenza nei contrasti.
Pur essendo tecnicamente dotato, Guarín non ha infatti la capacità di girarsi in spazi brevi e saltare l'uomo da fermo. Spesso è costretto a indietreggiare, giocando il pallone verso centrocampisti e difensori, o a fare la boa, suggerendo l'appoggio per l'uno-due nelle combinazioni strette. La manovra complessiva della squadra ne risente, rallentando o spezzandosi proprio in prossimità degli ultimi metri quando sarebbe necessario concretizzare il gioco espresso.
Per quanto sia duttile e si adatti a giocare in qualsiasi ruolo che gli venga assegnato, Guarín non sembra in grado di recitare la parte del jolly e il suo rendimento complessivo cala di conseguenza. L'incapacità di incidere come un tempo, la difficoltà nel portare a termine giocate prima facili, i fischi e il malcontento sempre meno celato dei tifosi sono per lui un forte motivo di frustrazione.
Anche se spesso cerca di fare buon viso a cattivo gioco il suo disagio e la sua rabbia sono palesi.
Eppure, come spesso accade in questa che è una storia di bivi e differenze, di scelte e di porte girevoli, è quando le cose sembrano essere ormai definitivamente compromesse che qualcosa interviene a rovesciare il tavolo.
Quel qualcosa si chiama Roberto Mancini. Uno che all'Inter, nel bene e nel male, ha lasciato un segno profondo. È l'allenatore che ha riportato a Milano lo scudetto dopo anni di digiuno, quello che ha posto le fondamenta della squadra che Mourinho ha portato alla vittoria nello storico triplete (tanto che al termine della sua prima stagione il portoghese ha dichiarato che quella non è una sua vittoria, ma una vittoria di Mancini).
Il Mancio torna a Milano nel novembre del 2014 per sostituire un Mazzarri ormai visibilmente logorato dalle avverse condizioni ambientali. L'Inter fatica a trovare continuità di risultati e stenta nel gioco, spaurita, fragile e incapace di offendere. L'ambiente è ostile, sfiduciato e pessimista. A Mancini viene affidato il compito di invertire la rotta.
Con il nuovo allenatore Guarín torna a giocare titolare con continuità. Mancini comincia il suo secondo mandato nerazzurro sperimentando un 4-2-3-1 in cui il colombiano, prima dell'arrivo di Shaqiri e Podolski, viene provato in diverse zone della trequarti. Sia centrale, che in posizione di esterno destro.
Nonostante il giocatore in quella posizione fatichi a rendere, il nuovo allenatore non smette di dargli fiducia, al punto da assegnargli anche la fascia di capitano in alcune gare in cui Ranocchia non scende in campo.
Sono in molti a domandarsi cosa Mancini creda di vedere in un giocatore le cui qualità passano talmente sottotraccia da ormai essere svanite dai radar. Eppure Mancini continua a credere in Guarín e a schierarlo titolare nelle sue formazioni.
L'11 gennaio 2015, proprio contro quel Genoa che lo ha tenuto a battesimo al suo debutto in Italia, sembra arrivare un segnale di cambiamento. Completato l'inserimento di Shaqiri e Podolski, Mancini può arretrarlo in mediana, al fianco del cileno Medel. Il colombiano, riportato nella posizione in cui riesce a esprimersi meglio, gioca una grande partita. Attacca, difende, crea per i compagni e sembra aver aggiustato la mira nel tiro. Non segna, non serve assist ma è comunque il migliore in campo.
La partita termina 3-1 con le reti di Palacio, Icardi e Vidic, un altro giocatore dato ormai per perso, che invece porta a casa una prestazione convincente. Se il destino non fosse altro che una serie di eventi casuali e sconnessi, ci sarebbe da pensare che la stagione è arrivata a una svolta, che da quel momento in avanti si può tornare a correre, con il terzo posto come traguardo da raggiungere.
Anche il calendario, a guardarlo la sera dell'11 gennaio, sembra offrire auspici benevoli alla squadra di Mancini. Empoli, Torino, Sassuolo, Palermo, Atalanta e Cagliari sono partite abbordabili, almeno sulla carta.
Ma il destino, che per definizione è cinico e baro, se non lo si aiuta con l'audacia riserva spesso brutte sorprese e cocenti delusioni. Contro l'Empoli la squadra appare molla e imbambolata e non va oltre lo 0-0. La giornata successiva il Torino si porta a casa i tre punti grazie a una rete segnata da Moretti all'ultimo respiro. Sette giorni dopo, a Sassuolo, l'Inter crolla miseramente, demolita sotto i colpi della squadra emiliana. Al termine della partita lui e Icardi si beccano coi tifosi.
Guarín si batte il petto, indica il cuore e lo urla pure che ce lo sta mettendo, il muscolo cardiaco. Dalla curva franano i fischi, le maglie regalate dai due giocatori vengono ributtate in campo, a sfregio.
È a questo punto che qualcosa si muove. Come se la scintilla accesa a Genoa avesse covato sotto le ceneri del trittico maledetto e il livore dei tifosi l'avesse alimentata fino a farla bruciare fuori controllo.
Passa ancora una settimana e a San Siro l'Inter aspetta l'arrivo del Palermo di Dybala e Vazquez. Mancini ha cambiato modulo ancora una volta, passando dal 4-2-3-1 al 4-3-1-2, lo stesso schema che ne aveva fatto le fortune durante il suo primo periodo interista. Con questo modulo Guarín può tornare a giocare nella posizione che più lo esalta, la mezzala destra.
Tornare a guardare il portiere dritto negli occhi sembra spezzare definitivamente i ceppi che da mesi imbrigliano il giaguaro interista. Guarín apre le marcature, segnando di testa, sul corner battuto da Shaquiri, anticipando con rabbia Ranocchia. Dopo tanto tempo San Siro riecheggia ancora del ruggito del giaguaro. I compagni si stringono a lui e dalla selva di mani che lo abbracciano e teste che gli parlano, per un istante, emerge il suo volto di. Il giocatore sembra guardare di nascosto verso le tribune, verso il pubblico, volubile, che dopo i fischi e le ingiurie, acclama di nuovo a gran voce il suo nome. Forse è solo suggestione, ma un angolo della bocca si solleva appena, impercettibile, in un accenno di sorriso divertito e beffardo.
Prima del fischio finale fa ancora in tempo a servire l'assist per il gol di Icardi, che chiude il match sul 3-0. Kovacic scatta poco dopo la metà campo, accompagnato da Guarín che attira su di sé un centrocampista e un difensore. Il croato lo serve in profondità, e lo scatto lo porta dritto dentro l'area di rigore avversaria. Raggiunge il fondo, rallenta, quanto basta per saltare il difensore che prova a contrastarlo e mette la palla in mezzo, dove Icardi, di testa, insacca.
Sette giorni dopo contro il tabù Atalanta, è ancora una volta il migliore in campo. Non solo si procura il rigore che sblocca la partita, ma realizza anche una doppietta. La prima rete è un tiro di sinistro dal limite che scocca dopo essersi liberato in dribbling di tre avversari, la seconda è un destro telecomandato con cui trafigge il portiere da 25 metri.
Integrità e infortunio, timidezza e grinta, Juve e Inter e ora, che ci avviciniamo alla fine di questo racconto, applausi e fischi. La storia di Guarín è una storia di differenze, in cui la scelta non è mai definitiva, neppure certa. Non c'è mai certezza, in questa storia, perché questa è una storia di bivi e deviazioni, di fluttuazioni incontrollabili e di vuoti d'aria che lasciano senza fiato.
In mezzo a tutto questo c'è lui, il protagonista, Guarín. Il colombiano dagli zigomi affilati e dallo sguardo sfuggente, timido e rabbioso allo stesso tempo. Rabbioso perché timido, forse.
Guarín è un mistero sospeso perennemente tra due scelte, tra due opportunità, e questa sera, che dalla tastiera stillano affaticate le ultime parole di questa storia, abbiamo goduto della sua ultima prodezza. "Como estás? Todo bien guerito?" verrebbe da chiedergli stasera, dopo aver eliminato il Celtic.