La postura del formatore
Una riflessione sui confini delle professioni digitali e sul necessità di formare le persone con cui si lavora.
In questi ultimi due giorni è girato moltissimo, tra i vari social network, un post di Francesco Lanza che criticava un'iniziativa del Movimento 5 Stelle di Rieti. In un comunicato pubblicato sul sito Frontiera Rieti i grillini di Rieti rinfacciavano al sindaco la scelta di affidare a una professionista locale, ma residente a Bologna, la gestione della pagina Facebook del progetto EuRieti.
Nello specifico veniva contestata sia la cifra corrisposta alla professionista, 3.550,oo € iva inclusa, perché considerata troppo elevata in quanto "chiaro quanto sia facile saper utilizzare un profilo sul social network Facebook", sia la presunta vicinanza della suddetta professionista all'entourage del sindaco, in quanto in passato era stata incaricata del ruolo di "responsabile della Comunicazione delle elezioni amministrative 2012 dall'Ottobre 2011 al Maggio 2012".
Sul post di Francesco Lanza, che ho linkato in apertura, trovate una dettagliata analisi di come questi 3.55o,00 € iva inclusa vengono ripartiti negli 8 mesi di durata dell'incarico e quanti soldi puliti entreranno nelle tasche della professionista dopo aver contribuito agli oneri fiscali. Non è quello che mi interessa sottolineare. Innanzitutto è doveroso fare una riflessione di carattere politico e professionale allo stesso tempo.
In cosa sbagliano i grillini di Rieti quando muovono la loro critica? Sostanzialmente compiono due errori collegati. Ovvero non riconoscono la necessità che un lavoro, quale che sia, debba essere giustamente retribuito e non sono in grado di valutare con la giusta prospettiva l'abilità tecnica necessaria a gestire un profilo sui social media. La facilità di utilizzo di un servizio è un'unità di misura adeguata per valutare un lavoro da social media manager e in generale per valutare qualsiasi attività digitale?
Poche settimane fa, su Digicult, Patrick Lichty scriveva alcune riflessioni sull'arte digitale incentrate proprio su questa domanda per mostrare come l'arte e la cultura digitale s'inseriscano in una tradizione di pensiero che scinde il valore della creazione artistica dalla difficoltà tecnica necessaria alla sua realizzazione.
Dunque ritornando alla querelle suscitata dal M5S di Rieti bisogna chiedersi: come valutare l'attività di un social media manager? Sono sufficienti i parametri quantitativi: numero di fan, interazioni, frequenza dei post? Ovviamente no, perché un progetto di comunicazione digitale non vive solo di questi parametri ma va valutato in base a una serie di obiettivi che cambiano di volta in volta a seconda delle esigenze. Banalmente, ma neppure tanto, i fan si possono acquistare in stock (e costano pure poco) e non è difficile postare a ripetizione se non ci si pone il problema della coerenza e dell'efficacia di una progetto di comunicazione.
Il problema, in questo caso, è un problema di ignoranza, di scarsa conoscenza delle dinamiche di un mestiere e di un comparto produttivo che in Italia è ancora avvolto da una cappa di mistero. Dinamiche che un dibattito culturale sempre più rivolta al ribasso ha ammantato di luoghi comuni ideologici: dalla facilità alla gratuità, senza creare una consapevolezza diffusa delle difficoltà e delle particolarità di questo lavoro. A determinare questo scenario una responsabilità di un certo peso la hanno anche aziende e professionisti del settore, che su questa diffusa ignoranza hanno vissuto e continuano a vivere.
Dunque quando ci si chiede perché vale la pena pagare un (buon) web editor? La mia risposta è questa, perché un buon web editor ha capito che il suo compito non è soltanto quello di essere un buon professionista nel suo campo, ma anche perché si approccia ai suoi clienti con la postura del formatore. Perché s'impegna giorno per giorno per creare nei suoi clienti, e nel mercato, quella consapevolezza e quella conoscenza che sono necessarie per capire la difficoltà di questo lavoro, ma anche per apprezzarne i risultati nel corso del tempo.
Solo così sarà possibile avere un mercato consapevole e maturo in grado di dare un impulso ulteriore a un comparto, quello digitale, che oggi conta 700.000 posti di lavoro, indotto compreso, e che ha un ruolo primario nella sua funzione di catalizzatore per molti settori dell'economia.