Recensione a Un polpo alla gola di zerocalcare
Se avete tra i 25 e i 40 anni e siete utenti attivi di facebook (ovvero accedete al vostro profilo almeno una volta al mese) ci sono ottime probabilità, almeno nell'ordine del 90%, che abbiate letto una delle tavole di zerocalcare. Se non vi è mai capitato ci sono solamente due possibili spiegazioni:
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o non siete utenti attivi di facebook;
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oppure dovreste seriamente chiedervi, sulla base del detto biblico "dimmi con chi vai e ti dirò chi sei" opportunamente upgradato alla versione 2.0 "dimmi con chi sei amico su facebook e ti dirò chi sei", che persone orribili siete dato che nessuno dei vostri amici vi ha mai condiviso una tavola di zerocalcare;
questo perché il fumettista romano è un narratore tanto straordinario quanto voi che non lo avete letto siete persone orribili. Sulla scia del successo del suo primo libro, La profezia dell'armadillo, poco meno di un mese fa è stato pubblicato il volume Un polpo alla gola, la seconda fatica di zerocalcare.
Chi si aspettava una versione reloaded del primo libro probabilmente è rimasto deluso, chi ha letto soltanto le tavole pubblicate sul blog senza prima passare da La profezia dell'armadillo probabile non ci abbia capito un cazzo, con gli altri si può discutere partendo però dalla premessa che Un polpo alla gola si presenta come uno sviluppo (quasi) naturale della poetica di zerocalcare.
Qui siamo di fronte a una narrazione che, rispetto al primo lavoro, non procede più per scatti, tableaux e singoli episodi montati a formare un mosaico in cui si fondono l'immaginario condiviso di una (più di una?) generazione, il vissuto esistenziale e la memoria collettiva. In Un polpo alla gola il respiro narrativo si fa più disteso e fluido e all'umorismo delle tavole si sostituisce, in maniera molto più marcata rispetto a quanto avveniva nel primo libro, il peso di una storia ricca di sfumature.
Molto del fascino della poetica di zerocalcare sta proprio nella sua capacità di padroneggiare i registri narrativi passando con grande naturalezza dal comico al tragico, aspetto che rende sempre spiazzante muoversi, nella lettura, da un formato all'altro, dalla tavola pubblicata on-line ai libri su supporto cartaceo.
Quella che Un polpo alla gola racconta è una storia di formazione incentrata sul segreto e sul mistero che il mondo rappresenta agli occhi di un bambino che cresce. Un mondo che ha sempre un doppio fondo in parte banale e in parte straordinario nella sua tragicità. La rappresentazione dell'infanzia e dell'adolescenza di un gruppo di ragazzi romani non fa sconti al cinismo e alla cattiveria di cui ogni persona può essere capace.
Anche in questo caso l'autore allestisce uno specchio generazionale in cui non è difficile riconoscersi (e se non ci si riconosce è probabile che si sia in malafede o ci si stia vergognando di qualcosa) e rivivere sensazioni di quel passato che resta sempre con noi e, senza lasciarci mai, fa di noi quello che siamo.
Se nel primo libro zerocalcare raccontava, sullo sfondo tragico di una vicenda intima, tic, ansie e manie di quella generazione che qualcuno ha definito "perduta", in questo ultimo lavoro il fumettista si confronta con la densità del tempo e della memoria.
Se qualcuno vi dirà che "il primo libro era meglio" o che questo secondo lavoro "non fa mica tanto ridere" il mio consiglio è di non dargli retta e di leggerlo, scoprirete che ciò che fa grande un narratore è la sua capacità di crescere senza perdere ciò che lo rende speciale. Per me zerocalcare ha questa capacità.