Stop & search on the yellow bricks road
Come si sviluppa il discorso cromatico nel disegno Stop&Search dello street artist britannico Banksy.
Se è vero, come io credo, che sia legittimo individuare nella cultura visuale una delle più sviluppate aree della semiosfera contemporanea, è altrettanto vero che un lavoro analitico su questa cultura non può prescindere da una logica multidisciplinare, capace di risemantizzare concetti elaborati in determinati ambiti di ricerca per applicarli ad oggetti di natura differente. In questo post tenterò di applicare un concetto sviluppato nell'ambito della teoria del cinema ad un oggetto non cinematografico (un disegno), mostrando come, e non potrebbe essere altrimenti, anche nella cultura visuale contemporanea si diano interessanti fenomeni di convergenza.
Ho scelto come oggetto di analisi un disegno di Banksy, celebre e provocatorio street artist di origine inglese. Il disegno si intitola Stop and search (Fermata e perquisita) e raffigura una bambina il cui cestino da pic-nic viene perquisito da un truce poliziotto, con tanto di casco e manganello. Assiste alla scena un cagnolino, posizionato nell'angolo in basso a destra del quadro.
Riconoscere le modalità di costruzione degli sguardi è fondamentale per capire il meccanismo espressivo che Bansky sta mettendo a punto. Il centro d'attrazione dell'intera scena, il punto che catalizza l'attenzione dello spettatore, si ricava incrociando le linee di forza che prolungano gli sguardi dei tre protagonisti. Il cagnolino in basso a destra, agendo come una figura di cornice, orienta ulteriormente lo sguardo dello spettatore: in sintesi, ci sta dicendo dove e come guardare. Che cosa troviamo all'incrocio delle linee di forza che prolungano gli sguardi dei protagonisti di questa scena?
La risposta è scontata, eppure problematica: all'incrocio degli sguardi si trova il cestino da pic-nic che il poliziotto sta perquisendo con solerzia. A questo punto però, si verifica uno scarto decisivo, perché accanto al cestino si nota un colore. L'intero disegno, infatti, è in bianco, nero e grigio, caratterizzato quindi dall'assenza del colore, fatta eccezione per il paio di guanti color verde acqua, indossati dal poliziotto. La tinta di questi guanti è assai particolare, non abbastanza squillante per rompere l'equilibrio cromatico del quadro (così come succederebbe se si trattasse di un rosso o di un giallo acceso), eppure abbastanza particolare, al punto da costituire un elemento capace di catalizzare l'attenzione dello spettatore. È dunque questo colore a porsi come il vero centro nevralgico della composizione.
Fin dalle riflessioni di S.M. Ejzenštejn, il colore deve essere considerato, nel cinema, qualcosa in più di un semplice orpello realistico: esse deve essere considerato come un elemento espressivo autonomo, che deve essere coordinato dal montaggio verticale per realizzare quel costrutto stratificato di senso che è l'immagine. Sulla scorta delle riflessioni di Ejzenštejn, Luca Venzi, nel suo Il colore e la composizione filmica, tenta una tassonomia dei possibili usi espressivi del colore nel cinema. Condizione fondamentale per individuare quando un colore viene utilizzato in termini espressivi all'interno di un film è la sua marcata riconoscibilità, che Venzi individua con il termine esposizione cromatica1. L'incrociarsi degli sguardi che determinano il centro d'attenzione nel disegno di Bansy funziona proprio nei termini di un'esposizione cromatica, che ci presenta il colore come un elemento espressivo, la cui funzione ho appena cominciato a descrivere.
Secondo Venzi, l'esposizione cromatica, si specifica in due figure differenti: l'insorgenza di colore e la ricorrenza di colore.
«L'insorgenza di colore è quell'occorrenza filmica puntuale in cui uno o più colori si espongono allo sguardo dello spettatore in virtù di un potere visivo-attrazionale che per un tempo più o meno prolungato tende a derealizzare i dati dell'immagine»2.
Anche nell'oggetto che stiamo analizzando possiamo dire di trovarci di fronte ad un fenomeno di insorgenza di colore, tuttavia si tratta di un fenomeno dalle caratteristiche particolari. Piuttosto che davanti ad un'esplosione di colore, nel caso specifico, assistiamo ad un'implosione dello stesso, ad un contrarsi dell'immagine sul colore – contrarsi che ha anch'esso un potere derealizzante – piuttosto che ad una propagazione del colore lungo tutta la superficie dell'immagine.
Anche in questo caso, quindi, «sospinto dalla propria prorompenza puramente ottica, spaziale, figurativa, plastica, il colore reclama lo sguardo, ferisce la visione, e, almeno per il tempo in cui il proprio fenomenizzarsi è percepito come tale, la precipita nel luogo o nei luoghi in cui esso viene a manifestazione»3.
Tuttavia, se l'azione dell'insorgenza di colore terminasse qui, essa avrebbe il potere di distruggere completamente lo sviluppo narrativo del film; l'esplosione di colore, il suo potere attrazionale, la sua semplice presenza impedirebbero al film di espletare la sua azione configurante e quindi ne minerebbero le stesse capacità narrative. È per questo che l'immagine filmica ha la capacità di riassorbire i momenti di insorgenza di colore all'interno del proprio processo formante e di farne elementi capaci di aggiungere a questo ulteriori dati espressivi4.
Data la natura statica dell'oggetto in questione, tale processualità deve essere considerata una processualità di carattere esclusivamente cognitivo: tuttavia essa è descrivibile come movimento dello sguardo ed implosione dell'immagine su di un colore. Resta da descrivere come, a partire da questa implosione, il colore lavori l'immagine dal punto di vista espressivo.
In precedenza avevo fatto notare come la tinta verde acqua dei guanti non desse origine ad uno stacco cromatico particolarmente violento, rispetto al bianco e nero che domina l'intera scena. Ma questa tinta rimanda anche alla qualità materiale dell'oggetto. Quei guanti sono, infatti, guanti di lattice, e non, per esempio, guanti di pelle come quelli che potrebbe indossare un poliziotto in tenuta antisommossa.
I guanti di lattice servono per impedire di venire a contatto con sostanze nocive per l'organismo, e costituiscono un'elementare misura di profilassi. Ad indossare guanti di questo tipo sono soprattutto gli agenti di pubblica sicurezza incaricati di perquisire i migranti quando questi arrivano in un determinato paese.
L'immagine di Banksy sarebbe leggibile, in base al lavoro da questi fatto sul colore, come una provocatoria critica alle politiche di controllo e prevenzione dell'immigrazione che sono comuni a gran parte dei paesi occidentali. Vi è un ulteriore elemento che confermerebbe questa lettura: Banksy, nei suoi disegni, è solito decontestualizzare immagini e simboli della popular culture per realizzare visioni spiazzanti a partire da elementi consueti.
Sapendo questo non è poi difficile identificare la bambina ed il cane: la bambina è infatti Dorothy, la protagonista de Il mago di Oz, e l'animale altri non sarebbe che il suo fido cairn terrier, Toto. Non è una scelta casuale, Dorothy, infatti, ad Oz è un immigrata clandestina, giunta nel magico reame trasportata da un tornado (guarda caso da un elemento fluido come l'acqua, che nella rappresentazione delle migrazioni ha un ruolo fondamentale.
Insomma quella che, a prima vista, poteva sembrare soltanto un'immagine bizzarra, letta alla luce del lavoro fatto da Bansky sugli elementi espressivi del disegno (il colore ed la ricontestualizzazione di altre immagini) diventa una visione fortemente critica rispetto ad una delle questioni politiche più centrali degli ultimi anni. Ma è, anche, un esempio di come all'interno della cultura visuale vi sia una sostanziale fluidità che permette di adattare oggetti e concetti ad un'ampia rete di situazioni.
1Luca Venzi, Il colore e la composizione filmica, pag. 21
“Chiameremo esposizione cromatica questa preliminare operazione che il film è chiamato ad effettuare attorno al colore o ai colori che più o meno consapevolmente e più o meno compiutamente ha stabilito di lavorare in funzione espressiva, rilevando come tale operazione costituisca la condizione essenziale affinché l'elemento cromatico possa a sua volta candidarsi ad effettuare nelle immagini e tra le immagini di un testo filmico, un qualsivoglia lavoro testuale. […] Un colore esposto dal film sarà dunque un colore che il film stesso ha dotato di un variabile ma indiscusso valore di apparizione, valore di cui il drastico ed improvviso rovesciarsi in immagine dell'elemento cromatico e/o la sua insistente ed evidente reiterazione da un'immagine all'altra costituiscano le espressioni più abituali e significative.”
Dato che stiamo applicando concetti elaborati nell'ambito della teoria cinematografica ad un oggetto pittorico è necessario che il lettore tenga sempre a mente la differenze che caratterizzano l'immagine in movimento rispetto a quella statica.
2Luca Venzi, ivi., pag. 29.
3Ivi., pag. 29.
4Ivi., pag. 33
“L'immagine filmica patisce dunque l'incorrere di questi momenti di insorgenza, di pura visibilità sovraoggettuale che spinge all'informe, ma subito si fa costitutivamente carico di ricomporre queste zone di eccedenza che in essa vengono ad aprirsi, di richiudere lo iato che in essa si consuma. Reintegrando entro i confini della propria dimensione enunciativa lo scarto attrattivo-derealizzante promosso dal colore, ricollocandolo, in primo luogo, nelle maglie del proprio livello informativo-narrativo, ricomponendo cioè innanzitutto l'integrità dei dati di contenuto che il passaggio del colore ha oscurato. […] Non cesseremo mai, dunque, di vedere una stanza, un volto, una piscina nei film di Donen e Kieslowski sebbene di fronte alla loro rappresentazione ci si misuri, con ogni evidenza, con l'incorrere di una forza puramente visiva, veicolata dal colore, che per un momento, più o meno prolungato, rapisce letteralmente la nostra attenzione.